4 3 2 1 di Paul Auster
Come eravamo…
4 3 2 1… 2000!!! Nuovo secolo, nuovo millennio.
Alle soglie di questo nuovo secolo pensavamo in ottica millenaria: come sarebbe stato il nostro futuro? Matrix fu la più eclatante delle risposte.

Ora che siamo giunti alla fine del primo ventennio, la nostra ottica è cambiata. Ora che siamo nel futuro, e non è (tanto per cambiare) come ce lo immaginavamo, ci rivolgiamo al secolo passato. Da millenaristi il nostro ego torna piccolo e si fa secolare.
Marco Tullio Giordana fu antesignano di questa mania di riesaminare il secolo passato attraverso il racconto della storia di una famiglia ne La meglio gioventù. Storie di amori e di amicizie che si sviluppano insieme a un’epoca lontana e ormai mitica. Poi c’è l’illustre esempio de L’amica geniale che addirittura ripercorre mezzo secolo italiano.
Anche gli americani ci hanno preso gusto, ma preferiscono concentrarsi su unità di misure più piccole: Mad Men per gli anni Sessanta, The Americans per gli anni Ottanta.
Lo sbarco in America
E poi c’è Paul Auster, il papà di tutte le scatole cinesi letterarie. Lui chiaramente è un tantino più ambizioso, e decide di raccontarci la vita di Archibald “Archie” Ferguson, il protagonista di 4321 (no, non è un modulo calcistico), attraverso tutto il Novecento (americano)!

Torna potente il concetto di sliding doors, come già la smarginatura di Elena Ferrante. Sembra che questi autori contemporanei, nel raccontare le vite dei loro personaggi collocati nel secolo passato, avvertano l’esigenza di cambiarne il destino già scritto. Forse che nasconda il desiderio di cambiare di punto in bianco il sanguinoso, breve secolo scorso? Un secolo che inizia, almeno per Auster, con lo sbarco a Ellis Island del nonno (immigrato ebreo polacco) di Archie: un funzionario non comprende il suo parlato yiddish e pensa che quelle parole biascicate siano in realtà il suo vero nome, che da quel giorno in poi diventa Ichabold Ferguson. Un nome scelto dal fato, come già capitva a Don Vito Corleone ne Il Padrino – Parte II.
Come leggere 4 3 2 1
Ferguson viene quadruplicato e come in tutte le storie di replicanti sarebbe il caso di chiederci quale sia l’originale.
Viene moltiplicato per popolare non gli universi paralleli ma, in virtù della loro complementarietà, gli “universi perpendicolari” per dirla con il Groucho Marx di Dylan Dog. Poteva fare da meno il papà di tutte le scatole cinesi letterarie e autore di Trilogia di New York? No, non poteva.

Secondo l’ottimistico parere del Dottor Panglass: per ciascuna vita le cose vanno nel miglior modo possibile in cui possano andare (il papà vive ma alla fine divorzia, zia Mildred sposa un uomo piuttosto che un altro, ed è sempre il meglio, o è sempre il peggio?).
C’erano milioni di modi per raccontare queste vite ad incastri: uno scrittore tradizionale ad esempio sarebbe stato qla prima vita di Ferguson dalla nascita alla morte avrebbe potuto raccontarci la vita n.1di Ferguson dall’inizio alla fine, quindi avrebbe ricominciato da capo per raccontarci la vita n.2, e dopo la n.3 ed infine la n.4.
Ricomincio da capo con innumerevoli variazioni di percorso. Ma come dice Ferguson ad un compagno del campo estivo: metti che ci sono due vie per arrivare a destinazione, la primaria e la secondaria. Tu non puoi conoscere in anticipo quale delle due presenterà imprevisti e ti farà arrivare tardi all’appuntamento più importante della tua vita. Ebbene, quale delle due sceglieresti? Se in un caso o nell’altro arrivi puntuale a destinazione, non ci pensi più. Ma se una delle due ti fa arrivare in ritardo allora stai a interrogarti su cosa sarebbe successo se avessi imboccato quell’altra strada.

Il giorno della marmotta
Fortunatamente Paul Auster non è uno scrittore tradizionale. Lui alla via semplice del Giorno della Marmotta (ogni volta ricominciare da capo) preferisce la strada secondaria. Ovvero le quattro vite di Archie Ferguson ce le racconta tutte insieme in 4 3 2 1: intrecciandole, alternandole, incastrandole e districandole nella loro progressione cronologica, perché alcune scelte portano alla vita successiva mentre altre ancora fanno tornare alla vita precedente.
Così non c’è un solo capitolo 1 ed un solo capitolo 2 ma abbiamo ben 4 volte il capitolo 1 (uno per ciascuno delle quattro vite). E’ così per tutti i capitoli fino alla fine. Probabilmente al lettore conviene prendere appunti su una lavagna perché non è sempre facile riprendere le fila di una vita piuttosto che di un’altra. Se non ti aiuta la trama allora ti aiuta la diversa caratterizzazione di Ferguson. Difatti in ognuna delle sue 4 vite il protagonista si distingue per una diversa caratterizzazione dovuta ai diversi capricci narrativi di Paul Auster.
Come Auster ha scelto la sua strada, anche il lettore è chiamato a farlo: al bivio (che in realtà è un incrocio) può scegliere di leggere 4 diversi romanzi composti ciascuno da un totale di 7 capitoli (ogni volta che se ne finisce uno si passa al romanzo successivo), oppure può scegliere di leggere un unico romanzo di 28 capitoli complessivi.
La scelta per me è obbligata, come lo è stata quella di Auster. 4 3 2 1 si legge dall’inizio alla fine, così come è stato costruito.
Solo così si può godere a pieno di tutti gli incastri stile cubo di Rubik dettati dalle diverse scelte di vita di Ferguson. Vite differenti dove personaggi importanti rivestono ruoli minori da una vita all’altra. E dove i risultati delle partite di baseball non sono mai scontati. Un consiglio alternativo: leggete di Ferguson n.2, ripartite leggendo Ferguson n.3, al che ripartite da Ferguson n.1 e infine leggetevi tutto Ferguson n.4.
Cosa sarebbe successo se…
Nello Strano Interregno (battuta del nonno di Ferguson n.3), ossia il tempo fra i tempi, questi interstizi paralleli, il what if alla Pixar (cosa sarebbe successo se il meteorite non avesse colpito la Terra e i dinosauri non si fossero estinti? Vedi Il viaggio di Arlo per scoprirlo) vale solo per il personaggio e non per il contesto.

Infatti la storia si ripete identica (quante volte viene ucciso Kennedy? quante volte gli USA invadono il Vietnam?) perché a cambiare è il modo di percepirla da parte di Ferguson, indipendentemente dal college in cui si iscrive, che egli sia un menomato amante dello sport, un passionale col pallino del giornalismo o un bisessuale che vuol fare critica cinematografica (curioso scoprire come Stanlio di Stanlio e Ollio si sia sposato per 6 volte, 3 volte delle quali sempre con la stessa donna), ma sempre (per dire) lui viaggerà a Parigi, e sempre il professor Fleming rimarrà vittima del suo fascino.
“Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”
La sensazione è che anche i nonni e i genitori di Ferguson avrebbero potuto imboccare mille svolte diverse. Eppure qui ne imboccano una e una soltanto. Quella che conduce dritto unicamente a Ferguson (non a caso figlio unico, così ha scelto il destino dopo i due aborti consecutivi della madre).
Significativamente, nelle quattro vite di Ferguson, cambiano sempre le macchine di famiglia. Sono lì a testimoniare una diversa fortuna economica per ciascuna delle quattro versioni della storia.
Quello che più conta è che, da una vita all’altra, l’irriducibile inclinazione di Ferguson alla giustizia e alla dirittura morale rimane identica: in un caso si manifesta nella pubblicazione di un giornalino scolastico tacciato di comunismo, e nell’altro il suo rifiutarsi di prendere buoni vuoti a scuola in attesa di una punizione divina diviene la sua grande sfida alle sfere celesti per mettere definitivamente alla prova l’esistenza di Dio. Cloud Atlas delle sorelle Wachowski (all’epoca di Matrix erano ancora fratelli) e Tom Tykwer, adattando l’omonimo romanzo di David Mitchell fa un lavoro similare: diversi attori interpretano diverse declinazioni di uno stesso personaggio fra presente, futuro, passato e addirittura fra differenti generi narrativi, e anche se in un caso interpretano i buoni e nell’altro i cattivi, le inclinazioni di fondo rimangono identiche. Quel tale rimarrà sempre generoso in tutte le sue molteplici incarnazioni, e talaltro si mostrerà sempre vigliacco.

L’albero della vita
Nei primi anni di vita, Ferguson ha per la prima volta (ci saranno altre occasioni più avanti) sentore del suo meta-destino quando precipita giù da un albero.
Si domanda: e se non fossi caduto? Se non mi fossi rotto il braccio? Ed ecco che da quel punto la sua vita prende tante svolte proprio come i rami di quell’albero.
In una vita Ferguson perde il papà durante l’incendio al negozio e sua mamma si risposa, in un’altra vita suo padre sopravvive e fa fortuna con i campi da tennis (da una vita all’altra Zia Mildred riesce sempre a legarsi a uomini differenti). In una versione Ferguson ancora vive, mentre in un’altra muore. Come muore? Accidentalmente schiacciato da un albero! Come se Archie, in una puntata di Final Destination, cadendo da quel primo albero sarebbe dovuto morire, ma è sopravvissuto così ha scombinato i piani della Morte e questa, qualche anno dopo, lo rintraccia in un campo estivo e gli spara addosso un fulmine per dargli il benservito. Non vi dico che tristezza da quel momento in poi trovare i capitoli successivi dedicati all’Archie “morto” stampati su pagina bianca perché, a differenza delle altre sue vite ancora in corso, qui non c’è più nulla da raccontare.

Chi non muore si rivede
Un’altra sua vita scampa miracolosamente alla vendetta della Morte, ma la Morte gli strappa due dita della mano. Contrappasso: quando da piccolo Archie era caduto dall’albero, si era rotto proprio il braccio.
Successivamente, in una delle sue quattro declinazioni, Ferguson dirà che la vita non è come un libro dove l’eroe comincia la sua storia a pagina 1 e muore a pagina 204 (ovvero la pagina in cui è già morto uno dei 4 Ferguson) o a pagina XXX (chi vuole correre avanti a scoprire cosa succeda a questa pagina, può benissimo immaginare a cosa andrà incontro).
Paul Auster sa che il suo lettore è curioso, e dato che si aspetta la morte da lui preannunciata per pagina XXX, allora piazza un’altra morte del personaggio (non telefonata) però a pagina YYY. Ed ecco un’ultima triste sequenza di capitoli “in bianco” che si aggiunge alla precedente”. Una morte assolutamente a sorpresa sebbene anticipata qualche pagina prima da un altrettanto inatteso “conto alla rovescia”; una bizzarra coincidenza vuole che questo Archie muoia dopo avere completato il saggio Come Stanlio e Ollio mi hanno salvato la vita. Come dice un Ferguson ad un tratto di questa magnifica meta-narrazione: in fondo essere se stessi significa essere molti se stesso o molte volte se stesso, per cui se uno muore non è detto che l’altro sé non viva.

Gli incroci
Magistrale il racconto che Auster fa scrivere al suo piccolo Ferguson. Un racconto scritto da un bambino e dedicato al suo migliore amico, morto prematuramente, forse al posto suo, e con il quale ha realizzato una coppia, se vogliamo, alla Stanlio e Ollio ma molto più seriosa. Un testo scritto con le parole non di un bambino qualsiasi ma proprio con quelle di questo Ferguson qui: ogni parola scelta si porta dietro il suo passato, i suoi gusti, le sue scelte di vita.
Il racconto si intitola Compagni di suola e gli è stato ispirato dalla tragica scomparsa di un amico con le stesse sue iniziali: A.F. Come dice il bun Ferguson delle due scarpe protagoniste del racconto (la destra e la sinistra), sono due gocce d’acqua ma non identiche.
I genitori del bambino morto, e che aveva eletto Ferguson quale migliore amico, si affezionano a lui. Lo invitano a cena, lo vedono crescere come fosse lui suo figlio. Ferguson invece li vede invecchiare, dimagrire e ingrassare, ma non con gli occhi di un figlio. Anche questo è un improprio scambio di vite.
L’altro racconto meritevole di attenzione oltre a Compagni di suola (attenti alla c mancante, non come il papà di Ferguson che, divorziato dalla prima moglie, se ne troverà una seconda che è la copia carbone dell’originale: altra vita, scelte uguali) e Destra, sinistra o sempre dritto? dove il personaggio immaginato da Ferguson subirà effetti diversi sulla propria vita a seconda di quale strada imboccherà al bivio (gliene capitano di tutti i colori oppure non gli capiterà proprio nulla).
La fine della strada
La seconda poderosa metà del romanzo è la più noiosa di tutte. Il piccolo Ferguson e l’adolescente Ferguson lasciano spazio ad un giovane adulto Ferguson alle sue prime esperienze collegiali (gli anni ’60 americani) e sessuali.
Pagine su pagine di riflessioni prolisse, libri letti e film visti che occupano spropositatamente la seconda parte del libro, rallentando il ritmo a velocità vertiginose. Viene un po’ troppo fuori l’Auster che si nasconde dietro Ferguson: ossia la matrice (autore) dei vari cloni (personaggi identici a sé stessi). Benché lo scrittore sostenga non ci sia proprio nulla di autobiografico, noi sappiamo che sia Auster sia Ferguson sono nati nel New Jersey nel ’47. E ci viene il sospetto che l’Amy di cui ogni volta Archie finisce per innamorarsi non sia altri che… Una copia carbone di Siri, la vera moglie di Ferguson alla quale il libro è dedicato.

Una boccata d’aria la si ha quando Paul Auster ci descrive “in diretta” una delle pagine meno conosciute della storia recente americana. La rivolta nera di Newark. E le pagine volano sino alla chiusura del cerchio (anche se è partito come un cubo): (SPOILER) la morte del papà di Ferguson, che è un po’ come tornare all’inizio, dato che Paul Auster ha deciso di scrivere questo romanzo all’età di 66 anni subito dopo aver ricevuto la notizia della morte di suo padre.
Conclusioni
La definitiva quadratura del cerchio si ha quando Ferguson n.4 si rimbocca le maniche e, nel più telefonato dei colpi di scena da Post Office di Charles Bukowski, scrive il libro che abbiamo appena finito di leggere.
Una barzelletta che non lo riguarda diventa le prime pagine di 4 3 2 1. Ovvero la storia di suo nonno (le parole yiddish scambiate per nome proprio). La barzelletta dà a Ferguson la giusta ispirazione per immaginare altre n.3 versioni di se stesso seguite dalla n.4 che è la sua reale autobiografia.

Se nessuno dei Ferguson arriva realmente all’età matura è perché i primi 3 escono di scena quando l’autore è pronto a staccarsi di loro. Il n.4 invece si congeda da noi quando arriva il momento di iniziare a scrivere il romanzo e per noi di finire di leggerlo.
Tre storie finte più una vera. Tutte raccontate in terza persona: il punto di vista di Ferguson che guarda dall’alto se stesso e gli altri sé. Che è anche Paul Auster che guarda dall’alto i 4 Ferguson (quindi, nonostante tutto, anche la storia n.4 è immaginaria). Paul Auster che ci dice che un po’ tutte e 4 sono la sua autobiografia mascherata. Se avete ancora dubbi leggete le note biografiche dell’autore riportate sulla cover tie-in.
A sette anni di distanza dal suo ultimo libro, Paul Auster è tornato in pompa magna con un romanzo postmoderno, labirintico, gigantesco (sia per voluminosità sia per densità) pubblicato in Italia da Einaudi (e tradotto da Cristiana Mennella) le cui due principali caratteristiche (l’essere magnetico e l’essere farraginoso, insieme) lo rendono quel che in Bastardi senza gloria il tenente Aldo Reine pensa della sua svastisca sulla fronte del colonnello Hans Landa: “potrebbe essere il mio capolavoro!“
Nel salutarvi, vi invito a leggere 4 3 2 1 di Paul Auster, e a tornare su questa pagina per dirmi cosa ne pensate.
Finito di leggere: giovedì 15 Febbraio 2018.
4 Replies to “4 3 2 1 di Paul Auster”
Ho letto il libro, e seppure alcuni capitoli io li abbia trovati molto belli e l’idea delle quattro possibili vite partendo dal protagonista sia interessante, trovo che le descrizioni sul sesso tra uomini siano molto volgari, come quelle dedicate allo sport, eccessivamente dettagliate e noiose. Abbastanza deludente nel complesso.
Capisco il tuo punto di vista, credo però che quelle scelte formali siano state dettate dal punto di vista dei personaggi raccontati
P.s. E poi quelle liste infinite di atleti e di squadre sportive di cui a nessuno frega niente, e di attori e di film, pagine irritanti direi….
Come disse qualcuno: sono i dettagli a rendere credibile una storia!