LA CATTEDRALE DEL MARE il romanzo vs la miserie tv
UN FENOMENO EDITORIALE
Con le sue oltre quattro milioni di copie vendute La cattedrale del mare è diventato un bestseller a livello mondiale sin dal 2006, anno di pubblicazione che lo incoronò fenomeno editoriale.
Ildefonso Falcones de Sierra (1959), avvocato specializzato in diritto civile a Barcellona (e si vede, data l’attenzione riservata a forme giuridiche medievali come enfiteusi, il mercato finanziario, ecc.), è qui al suo folgorante esordio dopo innumerevoli rifiuti da decine di case editrici. Con La cattedrale del mare dà prova di una vocazione letteraria che ricorda da vicino quella de I pilastri della terra di Ken Follett (inevitabili le similitudini, tanto nella trama che nel ruolo della cattedrale), dato che entrambi sono al contempo romanzi storici e vicende corali.
ORGOGLIO CATALANO
Nonostante il titolo originale sia in lingua spagnola castigliana (La catedral del mar), la penna di Falcones risente di quell’orgoglio catalano che permea tutta la regione sin dal Medioevo. Infatti la storia è ambientata nella Barcellona del XIV secolo, e afferma Falcones come uno dei rari scrittori catalani che scrive in lingua castigliana.

Nelle oltre 600 pagine (che filano una dietro l’altra grazie ai tanti emozionanti colpi di scena e ai rovesci di fortuna), assistiamo alla costruzione della chiesa del quartiere della Ribera, Santa Maria del Mar, definita la cattedrale del popolo, e ne siamo testimoni attraverso gli occhi del piccolo Arnau Estanyol mentre da ragazzino si fa uomo. La cattedrale diventa nel tempo simbolo della vera fede cristiana, quella di Arnau, in contrasto con quella più “politica” operata dalle istituzioni ecclesiastiche.
SCALATA SOCIALE
Di Arnau si racconta la scalata sociale, dal più umile dei contadini al più potente dei banchieri, attraverso le quattro parti che scandiscono il romanzo e la sua vita: da servo della gleba a servo della nobiltà, da servo della passione a servo del destino. Dall’epica dei bastaixos che hanno costruito la cattedrale per fede e non per denaro (è “la cattedrale del popolo” e non dei nobili, ripetono spesso) alla guerra intestina di re Pietro III, dalla peste fino al “regno” del temibile inquisitore generale Nicolau Eymerich, il domenicano autore del Directorum inquisitorum, protagonista tra l’altro dei romanzi di Valerio Evangelisti.
Nella lotta senza quartiere tra poveri, clero, nobili e nuovi ricchi (come i mercanti) spesso le scene risultano eccessivamente cruente, come forse si conviene al lato iberico del secolo oscuro. Inoltre su Arnau il destino si accanisce troppo e troppe volte, come fosse attratto magneticamente dal suo animo gentile, ancorché audace nel resistere alle persecuzioni di biechi individui come il conte Jaume di Bellera e Genìs Pig. In tale ottica, il tratteggio dei personaggi è tipicamente lambrosiano con i buoni che sono dipinti buonissimi e i cattivi che appaiono cattivissimi, al netto di qualche comprimario che presenta delle necessarie sfumature di grigio. Fra di questi si viene comunque a formare una galleria di grandi caratteri: Jean (da orfano di strada a domenicano inquisitore, da fratello fedele a traditore), Aledis (da giovane civettuola ad amante ninfomane, sino a perseverante prostituta), ecc.

LA SERIE TV
Ricordiamo che Antena 3 ne ha tratto nel 2018 una omonima miniserie in otto puntate, da noi disponibile su Netflix. Non sempre di pregevole fattura, a volte i passaggi sono talmente affrettati che i salti temporali (soprattutto nel primo episodio) risuonano ridicoli. A ogni modo, lo show è di buon livello e abbastanza fedele al testo. I raffronti operati qui a seguire sono scritti principalmente per chi ha letto il romanzo e visto la miniserie.
Nel prologo il nonno di Arnau è ancora vivo, giusto per spiegare allo spettatore come abbia impegnato tutti i suoi averi per maritare la figlia. L’uomo si pente di questo ma suo figlio Bernat lo consola dicendo che a lui comunque toccherà in eredità la campagna: nel libro il nonno si rammarica ma non si pente, poiché aveva già scrupolosamente ripartito le sue fortune in questo modo.

Quando Bernat conosce Francesca, entrambi sembrano innamorarsi, i loro rapporti non sono freddi sin dall’inizio come nel romanzo. Si capisce, il pubblico televisivo ha bisogno di più rassicurazioni rispetto a quello letterario, così i parenti e gli ospiti del matrimonio sono inorriditi (piuttosto che indifferenti) del fatto che il nobile di Navarcles decida di esercitare il diritto dello ius primae noctis abusando di Francesca. Nel libro, l’odio e le persecuzioni del nobile verso Bernat trovano una motivazione nell’impotenza delle argomentazioni contro gli stratagemmi adottati dal nonno di Arnaut per non cedergli le terre al momento della morte. Nel film non trovano una vera giustificazione, e di quelle terre non sembra importargli più di tanto.
UN ADATTAMENTO MENO ARTICOLATO
Maggiori libertà si prende il terzo episodio, vero passaggio di testimone da un protagonista all’altro. La rivolta di Bernat è sì sospinta dalla frustrazione causata, fra l’altro, dalle provocazioni della nuova cognata baronessa, ma non da lei orchestrata per farlo cadere in rovina. Di lì a poco assisteremo alla suggestiva trasformazione di Arnau, mentre trasporta una pietra, da bambino a giovane uomo. Ed è a quel punto che, tornando a casa, conosce Aledis direttamente nella sua “versione adulta”: evidentemente gli sceneggiatori si sono tolti dall’imbarazzo di dover fare innamorare di due ragazzini e di spiegare come questo amore sia rimasto immutato nel corso degli anni. Aledis non è più una mocciosa maliziosa ma una fanciulla innamorata, suo padre si trova a minacciare Arnau fatto uomo di starle lontano e non a rifiutare la proposta di matrimonio che invece nel libro gli fa da bambino.

Durante la guerra di don Pedro (Pietro III), sul campo di battaglia Arnau salva la vita di Genìs Pug con il quale segue un confronto visivo. Suggestivo, ma inedito; in generale tutta la ricostruzione della parte bellica è meno sviluppata, immagino per questioni produttive. Quando nel quinto episodio entra finalmente in gioco Sahat (non viene mai chiamato Guilleume, il suo primo nome nel romanzo) appuriamo il whitewashing effettuato sul personaggio del moro, affidato a un interprete ispanico. A questo punto della trama, sarà Arnau a raccontare al benefattore ebreo il proprio passato e a proporre di diventare banchiere, cosa che la sua più umile controparte letteraria non si sarebbe mai azzardata a fare. Più sfacciata viene ritratta anche la deliziosa Mar, sin da quando entra in scena. Possiamo capirne il perché. Il suo personaggio è ben costruito (pensiamo alla scena in cui prima ruba, poi le viene rubato e infine recupera l’anello nuziale del padrino) proprio in vista del ruolo amoroso che assumerà nell’ultima parte della trama.
LE ESIGENZE DEL PICCOLO SCHERMO
Ed è grazie alla spiegazione che Arnau fa ad una Mar adolescente dei banchi di sabbia del porto di Barcellona (delucidazioni che nel libro vengono fornite direttamente dall’autore) che capiremo meglio l’azzardata mossa navale che servirà più avanti ad Arnau (incipit del sesto episodio) per respingere l’invasore. Giustamente, a differenza che nel libro, qui Mar non assiste alla rivincita (topica, esaltante, ma anch’essa ingiusta) che nel finale sempre del quinto episodio Arnau si prende sulla famiglia Pug che lo maltrattò, creando un bel parallelo scenografico e di montaggio con il secondo episodio.

Senza voler tagliare il capello in quattro, ci limitiamo a dire che il gran finale demandato all’ottavo episodio è, in maniera ragionata, meno articolato della complessa versione letteraria: spurio del complotto delle prostitute, di una seconda trattativa con Eumerich (i documenti nascosti in casa finiscono direttamente in mano ad Arnau), di un rifugio per Mar e Arnau, della morte di Sahat, ecc. Il tutto premiato con un epilogo gratificante e commovente, grazie al buon lavoro del cast d’insieme.
UNO SHOW DI BUON LIVELLO
Il plot è talmente denso di eventi e colpi di scena da fare impallidire qualsiasi spettatore a ogni minuto se solamente si concedesse il tempo di più stagioni come ad esempio Game of Thrones. Il punto è che la carne sul fuoco è talmente tanta che il pubblico non fa in tempo a soffrire che subito si ritrova a gioire e viceversa, a discapito del lavoro di immedesimazione.

Se qualcuno volesse poi accusare la serie TV di addolcire troppo certe tematiche, allora dovrebbe volgere simili accuse al romanzo criticandolo di aver resto troppo “moderni” e “giusti” i suoi eroi medievali.
CONCLUSIONI
Tornando al romanzo, la vicenda è incalzante come le tematiche che tratta, dall’ingiustizia sociale alla tolleranza, dalla vendetta al desiderio di riscatto. La ricostruzione storica, a costo di farsi pedante, non viene mai tradita dal revisionismo della fiction. Si tratta d’altronde di un’epoca buia, costellata di pregiudizi e razzismo, troppo simile alla nostra, che ancora si affatica sul dialogo interreligioso e sula questione dell’immigrazione.
La cattedrale del mare funziona meglio quando sta dalla parte degli umili che non quando racconta gli intrighi politici di nobili e reali. Ed è proprio trasformando le deboli vittime in spietati vendicatori, che ci ricorda come violenza e sangue chiamano altra violenza e sangue, in un ciclo infinito che può essere spezzato solo dalla pietas cristiana. Possiamo infatti concludere che se la cattedrale del “laburista” Ken Follett è il perno laico intorno al quale le classi ricche si accaniscono sulle classi più sfortunate, la cattedrale di Falcones è il perno “cattolico” intorno al quale i più umili si rivelano superiori agli ingiusti prepotenti.
Finito di leggere: venerdì 12 marzo 2021.
Nel salutarvi, vi invito a leggere La cattedrale del mare di ildefonso Falcones, e a tornare su questa pagina per dirmi cosa ne pensate.