ScrivereSenzaGloria: STORY di Robert McKee
LA BIBBIA
Story è la Bibbia. Non ci sono comandamenti da osservare, ma principi da seguire. Dicendola con McKee, non dovete realizzare un’opera fatta bene ma un’opera ben fatta.
Come la Bibbia anche Story si divide in quattro Vangeli, eh sì, anche questo è un classico.

Primo vangelo: Lo scrittore e l’arte della storia
Il problema della storia
Diffidate dagli archetipi, ma rendete universale la vostra storia. Prendetevi il tempo per scrivere, ma siate brevi, originali e mai eccentrici.
Per riuscirci bisogna prima capire il funzionamento di ogni storia: parlare di altro (universale) per parlare di te (personale). Lo scrittore deve toccare il pubblico. Da qui si parte per impostare la narrazione, e dalla narrazione si parte per impostare tutto il resto.
I contrari di una storia ben raccontata sono: 1) storia personale; 2) successo commerciale garantito. Entrambe falliscono per i motivi opposti. Gli estremi, si sa, finiscono per toccarsi. La storia ben raccontata, invece, è una metafora della vita.
Oltre ad un buon addestramento Jedi, vi serve avere non tanto il talento letterario (le parole), quanto il talento narrativo (la vita stessa!).
Secondo vangelo: Gli elementi della storia
Le parti della storia
Cosa principale: delineate la struttura della storia, ossia la selezione degli eventi principali. L’evento della storia è un cambiamento, ossia il mutamento delle cariche di valore dell’esistenza, da positivi a negativi e/o viceversa. Questo mutamento può avvenire solo mediante un conflitto (fra, appunto, differenti cariche di valori).
La scena di un film è a suo modo un evento della storia, ma se dall’inizio alla fine della scena non avviene il mutamento del valore principale (ad esempio le cosiddette scene espositive), allora è un non-evento. Indi per cui: cancellate la scena!
Se scomponiamo la singola scena nei più piccoli mutamenti di valori che porteranno a mutamento del valore principale della scena, abbiamo individuato il beat.
L’equazione è semplice: più beat formano la scena, più scene formano la sequenza, più sequenze formano l’atto, più atti formano la storia. Dal beat alla sequenza, passando per le scene, diminuiscono per quantità ma aumentano per valore: ci sono più beat che sequenze, ma il cambiamento apportato da una singola sequenza è più grande del cambiamento apportato dai singoli beat. Quindi si passa all’atto successivo. Il cambiamento di valore diventa un’inversione di valore radicale solo nel climax dell’atto, perché il finale della storia deve risultare l’esperienza più significativa in assoluto.

Parte II
Delineato dunque l’arco del film, l’unica volta in cui il valore non può essere ribaltato è nel climax dell’ultimo atto o climax della storia. Tre sono, in sintesi, le trame possibili: trama classica (esempio: Big di Penny Marshall), minimalismo o minitrama (esempio: Paisà di Roberto Rossellini) e antistruttura o antitrama (esempio: Monty Python e il Sacro Graal di Terry Gilliam e Terry Jones).
McKee ce le presenta come i tre vertici di un triangolo attraverso il quale uno scrittore può moversi solo, e solo se, ne conosce le regole: conflitto interno o esterno, uno o più protagonisti, protagonista attivo o passivo, tempo lineare o non lineare, causalità o coincidenza, realtà coerenti o incoerenti, cambiamento o stasi. Se avete capito bene, è davvero difficile polarizzarsi fra film hollywoodiani e film d’autore! Anche se dall’uno all’altro il pubblico si assottiglia, ciò non significa necessariamente che si aumenti la qualità.

Struttura e ambientazione
Se non volete cadere nel cliché (a meno che non siate Quentin Tarantino che invece i cliché li esalta), dovete conoscere a menadito l’ambiente della vostra storia. Ovvero dovete conoscerne: l’epoca, la durata, la location, il livello del conflitto. Il principio è: “la limitazione che l’ambientazione impone al disegno di una storia non inibisce la creatività, anzi la ispira“. Per riuscirci fate ricerca, tanta ricerca, e armatevi di tanta pazienza.
Struttura e genere
Parte la carrellata su generi e sottogeneri ma qui, si sa, nessuna mente si è mai messa d’accordo, dallo storytelling al marketing. Dovete padroneggiare il genere, ovvero conoscerne le convenzioni, se volete violarle e magari combinare i generi fino a reinventarli.
Come un narratore di antitrama, deve poter conoscere il disegno della trama classica.
Struttura e personaggio
Per rispondere al quesito: cosa è più importante fra trama e personaggio? (è nata prima la gallina o l’uovo?), la visione di McKee è incontrovertibile: “la struttura è il personaggio e il personaggio è la struttura”. Segnatelo dovunque, e ripetetelo sempre prima di addormentarvi.

La caratterizzazione è la somma delle qualità osservabili di un personaggio, ma il vero personaggio si rivela sempre e solo tramite le scelte che compie: quindi il personaggio si rivela quando contraddice la propria caratterizzazione. E chi pone al personaggio la pressione necessaria a effettuare quelle scelte se non la struttura della storia?
Struttura e significato
Quello che dovete chiedere alla vostra storia è di ottenere “un’esperienza emotiva significativa“. Per riuscirci, dovete farvi guidare dall’idea di controllo nelle progressioni di idee opposte, perché nessuna storia è mai neutra.
In base alla vostre idee di controllo potreste essere autori idealisti, pessimisti o ironici (quelli che in un film ti fanno esclamare: “ah, la vita è proprio così!“, ma dove comunque il valore positivo e quello negativo non si trovano mai in equilibrio perfetto). Attenzione, “è la storia a dirvi il suo significato; non siete voi a dettare il significato alla storia“.
Terzo vangelo: I principi del disegno della storia
La sostanza della storia
Il protagonista è un personaggio volitivo, ha un desiderio consapevole, deve essere empatico e tante altre cose per favorire l’immedesimazione. Il mondo del personaggio è composto da cerchi concentrici che vanno dal conflitto interno al conflitto personale sino al conflitto extrapersonale.
“La storia nasce nel punto in cui il mondo soggettivo e quello oggettivo si incontrano“: le prime pressioni sono minori, così il personaggio rischia il meno possibile, salvo aprire un nuovo divario fra il personaggio e il suo oggetto del desiderio, quindi pressioni più grandi, e rischi più grandi in un andamento progressivo. “La vera azione è costituita da un movimento fisico“, le parole sono il mezzo, e se scrivete bene allora enfatizzate le reazioni. Immenso l’esempio tratto da Chinatown (1974) di Roman Polanski.

L’incidente scatenante
Il disegno della storia è diviso in cinque parti: l’incidente scatenante, le complicazioni progressive, la crisi, il climax, la risoluzione. Empatia e autenticità (che dipende dal dettaglio significativo) valgono qui come il sale per la pasta.
L’incidente scatenante (non deve arrivare troppo presto né troppo tardi ma, come Gandalf il Grigio, esattamente al momento giusto), come avete già appreso, è il primo significativo spostamento della carica dei valori della realtà del protagonista. Il protagonista deve reagire per ripristinare l’equilibrio. L’energia insita nel suo desiderio è quel che McKee chiama la spina dorsale della storia: da qui parte la ricerca.
Prefigurazione: “l’incidente scatenante proietta nell’immaginazione del pubblico l’immagine di quella che sarà la scena obbligatoria… sa di dover necessariamente assistere prima che la storia possa concludersi“.
Il disegno dell’atto
Tutto quello che avviene fra l’incidente scatenante e la crisi/climax dell’ultimo atto è detto complicazioni progressive. Nulla progredisce senza conflitto: c’è conflitto se una carica da positiva diventa negativa e viceversa, mai se da positivo si va su un altro positivo e/o se da negativo si va su un altro negativo. Ogni divario crea un punto di non ritorno: di scelta in rischio, bisogna sempre alzare la posta in gioco.

La macrostruttura della storia è composta in atti. Normalmente nella trama principale sono necessari almeno tre atti, quindi tre svolte principali, dove il terzo è il più corto di tutti (e può servire un falso finale). Se inserite più atti, si moltiplicano i cliché e si riduce l’impatto dei climax. L’incidente scatenante non deve verificarsi troppo tardi e i climax dei ultimi due atti sono i più possenti.
Anche le sottotrame hanno la loro scansione in atti: servono per tradire o riecheggiare l’idea di controllo innestando i film a multitrama.
Il disegno delle scene
Il Super-objetctive (spina dorsale) della storia si riflette nell’obiettivo della scena che è una storia in miniatura dove il personaggio persegue un desiderio minore, figlio del desiderio principale. Scendendo di scala, ogni scena è utile se offre un punto di svolta o turning point i cui effetti sono: sorpresa, aumento della curiosità, intuizioni (la ricompensa che il pubblico ricava dalla sensazione di essere arrivato da solo a quella profonda comprensione, anche se invece è stato guidato fino ad essa tramite semina di informazioni in profondità e raccolta nel momento in cui le informazioni emergono e sempre calibrate in funzione del target di riferimento) e nuova direzione.
I punti di svolta creano la dinamica dell’emozione e ne esistono soltanto due: il piacere e il dolore (più sfumature). Per toccarci dalla transizione di valori, la storia deve farci provare empatia con il personaggio. La legge del profitto decrescente recita: “più spesso facciamo un’esperienza, minore ne è l’impatto“. La scelta del personaggio si basa sul dilemma, ovvero fra due beni inconciliabili o fra il minore di due mali, mentre “la scelta tra bene e male o tra giusto e sbagliato non è affatto una scelta“.
Analisi della scena

La duplicità della vita impone che “nulla è ciò che sembra“, grazie soprattutto al sottotesto che muove il personaggio.
Il modus operandi analitico che McKee offre per alcune scene di Casabalanca (1942) di Michael Curtiz e Come in uno specchio (1961) di Ingmar Bergman, propone di suddividerle in cinque fasi diverse: definizione del conflitto, annotazione del valore iniziale, suddivisione della scena in beat (usate il gerundio per descrivere le azioni(reazioni), annotazione del valore finale per raffrontarlo con quello iniziale, esame dei beat e identificazione del punto di svolta.
La composizione
Per ordinare e collegare fra loro le scene si passa da: unità e varietà (ci vuole ricerca), cadenza (oscillazione di desideri e di tensione), ritmo (lunghezza delle scene) e tempo (livello di attività all’interno di una scena dato da dialogo e azione; vedete nella nostra recensione come ci riesce perfettamente Elena Ferrante in Storia del nuovo cognome), progressione sociale (le scelte del personaggio hanno un impatto sula società) e personale (impatto nei rapporti e nella vita interiore), evoluzione simbolica (dal particolare all’universale) e ironica (esistono sei modelli), principio della transizione (qualcosa in comune o di contrappunto fra due scene successive).
Crisi, climax, risoluzione
La decisione definitiva del personaggio (deve essere un momento volutamente statico) di fronte a un vero dilemma determina la crisi: qui ci ha portato la prefigurazione, a scoprire il valore principale della storia. La crisi, a sua volta, determina il climax della storia (ricco di significato e non reversibile) e la lunghezza di questa azione determina a sua volta la collocazione della crisi. McKee dice: “un climax imperniato su un punto di svolta è il più soddisfacente che esista“. Tutto il materiale rimasto dopo il climax spetta ala risoluzione, che è un gesto di cortesia verso il pubblico: “il segnale che è ora di andar via“.

Quarto vangelo: Lo scrittore al lavoro
Il principio dell’antagonismo
Le forze antagoniste non sono necessariamente un antagonista definito ma tutte le forze che si oppongono al desiderio del personaggio. Finiamo in pieno campo semiotico dove, mettendo ai quattro angoli di un quadrato il valore positivo, il suo contrario, il valore contrastante e la negazione delle negazione, possiamo preparare infinite griglie per le storie e i generi che intendiamo raccontare in tutte le loro varianti.
L’esposizione
L’esposizione dei fatti deve essere anzitutto invisibile, ovvero non va raccontata ma messa in scena sia per portare avanti il conflitto immediato sia per fornire informazioni.
Lasciate il meglio per ultimo e “rivelare soltanto l’esposizione che il pubblico vuole e ha assolutamente bisogno di sapere, e nient’altro.” Le rivelazioni forti provengono dall’Antefatto ovvero gli eventi significativi nella vita passata di un personaggio. I Flashback vanno drammatizzati e inseriti solo quando il pubblico avverte realmente il desiderio di sapere. Altre tecniche espositive consistono in sequenze di sogni, montage, la voce fuori campo.
Problemi e soluzioni
Sin da subito il pubblico cerca il fulcro del bene, che dovrebbe sempre trovarsi nel protagonista per cui dobbiamo provare empatia (non significa gradevolezza). Le combinazioni possibili fra curiosità e partecipazione generano mistero (il pubblico conosce meno cose dei personaggi), suspense (pubblico e personaggi dispongono delle stesse informazioni) e ironia drammatica (il pubblico sa più cose dei personaggi). Evitate come la peste il falso mistero e la sorpresa da due soldi, insomma niente trucchi o ve ne pentirete.
Per quanto riguarda la voce coincidenza, non va evitata, ma bisogna saperla usare: collocarla abbastanza presto e mai per far svoltare un finale. A tal proposito McKee afferma una delle sue frasi più celebri: il deus ex machina “è un vero e proprio insulto al pubblico.” Battuta che pronuncerà, nella parte di se stesso, a un seminario per scrittori cui prende parte Nicolas Cage ne Il ladro di orchidee (2002) di Spike Jonze e che, grazie alla magica ironia dello sceneggiatore Charlie Kaufman, proprio quella battuta diventa il deus ex machina che attendeva il personaggio di Cage per far progredire la sua storia.

Dopo aver esaminato il problema della commedia e del disegno comico, si discute del punto di vista (PDV) all’interno di una scena e all’interno della storia, del problema dell’adattamento (“più puro è il romanzo, più pura è la commedia, peggiore sarà il film“), del problema del melodramma e dei buchi.
Il personaggio
Il personaggio non è un essere umano ma è espresso esclusivamente attraverso le scelte che compie di fronte al dilemma: caratterizzazione e personaggio vero, desiderio e motivazione.
La dimensione di un personaggio è la sua contraddizione.
Gli altri personaggi vanno disegnati intorno a quello principale (le particine sì che possono essere unidimensionali).
I suggerimenti che fornisce McKee a chiunque scriva personaggi per lo schermo sono: 1) lasciate spazio per l’attore; 2) innamoratevi di tutti i vostri personaggi; 3) il personaggio è conoscenza di se stessi.
Il testo
Anzitutto, “il dialogo non è conversazione“: esige sintesi ed economia, deve avere una direzionalità, dovrebbe avere uno scopo. Nella vita non esiste il monologo, solo dialogo (azione/reazione). Qui scoprirete come scrivere una frase “sospesa”.
Per quanto concerne la natura delle descrizioni, sullo schermo abbiamo a che fare con “un tempo presente assoluto in costante e intenso movimento” quindi evitare verbi generici, aggettivi, avverbi e usare solo nomi specifici.
Se poetico significa un’accresciuta espressività, un sistema di immagini “è una strategia di motivi (…) che si ripete visivamente e sonoramente dall’inizio alla fine (…) è una forma di comunicazione subliminale che rafforza la profondità e la complessità dell’emozione estetica“. Immagini che possono essere interne o esterne.
Il titolo del film posiziona il film tanto quanto il genere, e non è solo questione di marketing.
Il metodo dello sceneggiatore
Gli sceneggiatori di successo scrivono dall’interno verso l’esterno seguendo in progressione la scaletta, il trattamento e infine la sceneggiatura.
Post scriptum: la Bibbia pesca a piene mani da Aristotele.
Nel salutarvi, vi invito a leggere Story di Robert McKee, e a tornare su questa pagina per dirmi cosa ne pensate.
Finito di leggere: tanto tempo fa.