SI SPENGONO LE STELLE di Matteo Raimondi
SPOILER ALERT: Non proseguite con la lettura se non volete rovinarvi il piacere di scoprire questo fulminante romanzo
L’ombra di King
La maniera in cui Matteo Raimondi intercala alle impressioni o ai ricordi dei personaggi alcune parentesi pindariche, virgolettati ironici o lo spezzare graficamente i capoversi, l’originale apostrofare (lo-sguardo-che-uccide) e le esasperanti voci nella testa (l’altra-Suzie), ci ricordano molto da vicino quello stile di scrittura alla Stephen King. Forse non è dunque un caso che la storia sia ambientata a York, nel Maine, che oramai anche i profani sanno essere la patria del Re del Terrore.
Non è assolutamente un caso il brutale scherzo che coetanei invidiosi fanno alla povera diciassettenne Susannah, la protagonista del romanzo. Infatti le gettano addosso un catino di escrementi, proprio come i teenager di Chamberlain avevano lanciato un secchio di sangue addosso a Carrie nell’omonimo romanzo di King (in entrambi i casi durante una festa). Non è un caso nemmeno la maniera in cui Susannah apostrofi il suo tocco, ovvero il suo shining.

“Non riesco a immaginare me due settimane a Boston”
In Spengono le stelle, il Maine è stato ammesso alla Colonia del Massachussets Bay nonostante le incursioni separatiste di alcuni abitanti di York che vorrebbero invece allontanarsi dalla Corona. Per questo la scena si sposta in quella Boston che l’Università di Harvard sta per trasformare nella città snob con un’inflessione linguistica intollerabile per il Calvin Candie (Leonardo Di Caprio) di Django Unchained. E invece, nonostante il papà di Susannah, quel Robert Walcott, onesto contadino e padre di famiglia timorato di Dio, responsabile della Corporazione commerciale e consigliere di York, sia ora diventato ministro del Congresso del Governatore Phips, tutte le colonie inglesi hanno stresso alleanza con le sei nazioni Irochesi per ingaggiare la guerra con la Nuova Francia a sua volta spalleggiata dai selvaggi Abenaki.

Uno squarcio di storia idealisticamente ritratto ne L’ultimo dei Mochicani (settanta anni dopo, nel pieno della guerra) ma messo politicamente alla berlina (sia il re sia gli indiani londinesi) nel capolavoro Manituana (circa cento anni dopo) dei Wu Ming. A maggior ragione un titolo come Si spengono le stelle non rende inizialmente giustizia alla minuziosa ricostruzione storica di Raimondi ma forse di più alla capacità suggestiva della sua penna.
Fuochi fatui
Le intercalari indiane, da Aye a Nay passando per una mitica digressione su Mitakuye Oyasin, ci scaldano i cuori soprattutto se siamo amanti della bonelliana saga fumettistica western horror Magico Vento creata da Gianfranco Manfredi e che usava concludere i suoi editoriali con quel Mitakuye Oyasin.
Di genitori progressisti, la cara Suzie non poteva che essere uno spirito libero. Mentre suo padre è inviato a Boston, nottetempo lei fugge nei boschi insieme a uno spasimante destinato a far la fine di Gaston ne La bella e la bestia (quando hanno il destino scritto in fronte!).

In prossimità del cimitero, dove finalmente il filone romantico sboccia in quello gotico, ecco che scopriamo l’abilità di Susannah di scorgere l’invisibile oltre il reale.
I fuochi fatui che nella notte danzano sulla collina del cimitero, ovvero le porte fra il mondo dei vivi e quello dei morti, è una eco di quei fuochi fatui che ruotano sulle lapidi ma intorno ai corpi nudi di Anna Falchi e Rupert Everett. Il riferimento è non tanto all’altro fumetto bonellinano Dylan Dog, quanto al seminale romanzo del suo autore Tiziano Sclavi e dal quale Michele Soavi ha tratto un gioiello cult.

Piccolo grande mondo
La vera stregoneria però la fa Raimondi. I suoi ingredienti sono: l’emporio, la conceria, King Street, la Chiesa del Redentore, la prigione di Gallows Hill, la temibile Sala delle Audananze vicino la City Hall, più poche altre strade dove si muove un microcosmo di personaggi variegati e credibili.
Il reverendo Donald Randall con un debole per il sesso e dalle visioni deliranti (c’è o ci fa?), il giovane ambizioso reverendo Thomas Tyker, il boia Harry Minster incline alla tortura, il conestabile Simon Hollister, il sedizioso Oliver Pery e la sua antipatica figlia Ashley con le amiche (cheerleader teppiste ante litteram) Cheryl Key e Sandy White.
E ancora il giovane alcolizzato Angus Stone dal grilletto facile, lo scemo Jeremy Lobster, il mercante di liquori Joe Henchuck, la serva Aliena, il dottor Griggs, e via dicendo… Un piccolo universo vivo e animato che crea con il lettore un’empatia pari a quella innescata dal villaggio di Asterix.

Il romanzo sarà anche lunghissimo. Ma la mole di personaggi e il perfetto equilibrio con il quale ne vengono alternati i punti di vista lo rende più che snello.
Puritani e indiani
Le stranezze di Susannah e la sua dimestichezza con il linguaggio dei nativi (è stata cresciuta dall’indiana Nagi) le attirano addosso i sospetti della comunità. Inevitabilmente la porteranno alla carcerazione a Gallows Hill (dove “vede” un orrore da un altro mondo, ossia quello di Lovecraft). Qui i cattivi sono davvero troppo cattivi (o sudici ingordi dai molti menti o lascivi spilungoni vestiti di nero) e i buoni troppo buoni.
Si tiene un processo farsa che fa il verso a quello di Salem. I concittadini superstiziosi la accusano di essere una strega, mentre vengono chiamati da Boston per giudicarla il vicegovernatore William Stoughton, il reverendo Chilton e John Cook. Gli stessi gentiluomini che hanno ostacolato le pretese politiche di Robert e che ora vogliono mandarne al rogo la figlia.

Fortuna che Susannah ha dalla sua uno spirito guida (il colibrì) e il potente tocco che la spinge verso dimensioni oniriche così distanti dalla truculenta realtà che la circonda. Ma soprattutto ha dalla sua la grinta di mamma Mary e il tomahawk (l’ascia indiana) di papà Robert. Papà per modo di dire, dato che lei è figlia di Mary e di un giovane indiano quando credevano che Robert fosse morto in guerra (solo William e Lizbeth sono i figli naturali della coppia).
In nome di Dio
Ed è proprio questo che il cattivone della storia, ovviamente il reverendo Randall, non ha mai perdonato a Mary Walcott. Nota: donna di cui è sempre stato segretamente innamorato. Le rimprovera di aver venduto il suo corpo al diavolo (gli indigeni) e avere dato alla luce un abominio.
(SPOILER) Nello spiegone finale sotto la minaccia del tomahawk di Robert, il reverendo spiega come ci fosse lui dietro tutte le ultime tragiche vicende verificatisi sotto le cime degli Appalacchi. Il reverendo ha minato la pace con gli indiani Wampanoag, mandato a morte i ragazzi di York incolpando Robert a Boston, e fomentato la paura nel gregge di York.
Inferno
Il finale è un classico putiferio tesissimo. La popolazione che manda Susannah al rogo, e gli indiani che attaccano il villaggio per liberarla ingaggiando una guerriglia contro le guardie. Un autentico inferno dove chi finora ha dettato il buono e il cattivo tempo (i puritani che si sono appropriati del Nuovo Mondo) finisce per contrappasso scalpato dagli implacabili indiani.

Così, in questo finale western da frontiera, nella Nuova Inghilterra di fine Seicento i più disonesti trovano la disonorevole fine che meritano.
Lessico
Il ricchissimo dizionario di cui si serve Matteo Raimondi è un serbatoio pressoché inesauribile. Lo è per la generazione di descrizioni mai banali, situazioni sempre coinvolgenti e immagini di rara forza evocativa. Metafore sempre ben calibrate all’interno di questa mole di scrittura insieme fantasiosa e precisa.
Conclusioni
Matteo Raimondi non è italiano, non lo è la sua scrittura. Non è una critica, anzi. Sembra di leggere un romanzo partorito da penna americana e che solo poi è stato tradotto in italiano. Mancano difatti gli stereotipi nelle situazioni e nei dialoghi con cui un autore italiano avrebbe infarcito il suo personale immaginario americano.
Comprate il libro di un esordiente, ma sappiate che questo non è un libro da esordiente: ben documentato ma crudo, complesso ma suggestivo. Che sia un thriller dalle venature fantahorror o un dramma storico dalle influenze mistiche, sicuramente va il plauso all’autore, e a Mondadori editore.
Oggi
La folla, un amalgama di bravi e onesti cittadini capaci da un momento all’altro di farsi trascinare e trasformarsi in belve isteriche. Cosa può esserci di più attuale oggi? In un mondo dove regna il populismo e non si intravede più il confine fra il corretto e quello che non lo è.

Attori redarguiti per avere interpretato o tentato di interpretare disabili piuttosto che trasgender “rubando” il ruolo a veri disabili o transgender. O immigrati respinti perché accusati di venire a rubare il lavoro nei territori che li ospitano. Questa è la voce di una folla fatta da bravi cittadini ma aizzati a un odio cieco e incontrollabile. Questa è la folla che avrebbe voluto mandare Susannah al rogo, e che è realmente ha bruciato le streghe di Salem.
Ora anche noi, piuttosto che la cavalleria americana dei western di John Ford, attendiamo che a salvarci venga un’orda di selvaggi armati di tomahawk!
Nel salutarvi, vi invito a leggere Si spengono le stelle di Matteo Raimondi, e a tornare su questa pagina per dirmi cosa ne pensate.
Finito di leggere: venerdì 20 luglio 2018.