ARISTOTELE E I VELENI DI ATENE di Margaret Doody
VELENI LETTERALI
Aristotele e i veleni di Atene (2004) di Margaret Doody è il sesto appuntamento (su dodici, quindi ci troviamo esattamente a metà) con i casi di Aristotele detective, il filosofo residente in Atene, figlio di Nicomaco (leggi le recensioni: QUI di Aristotele detective, QUI di Aristotele e il giavellotto fatale, QUI di Aristotele e la giustizia poetica, QUI di Aristotele e il mistero della vita e QUI di Aristotele e l’anello di bronzo). In questo nuovo caso Aristotele è giunto all’età di 54 anni ed è da poco rimasto vedovo (nel precedente romanzo). Quelli citati nel titolo sono veleni in senso letterale, ma anche metaforico…
Il prologo è ambientato prima dei fatti narrati nel precedente libro. Stefanos figlio di Nichiarco, cittadino ateniese di quasi 26 anni, nonché braccio destro di Aristotele e nostro fidato narratore in prima persona, si trova in grande imbarazzo quando, andato al bordello della tenutaria Manto, si trova testimone del ritrovamento di un cadavere eccellente.
Si tratta del ricchissimo Ortobulos, un facoltoso cittadino vedovo di Atene che, poco tempo prima, avevo dovuto difendersi all’Aeropago, orazione contro orazione, dall’accusa per ferimento premeditato mossagli da Ergocle, cittadino dal naso schiacciato all’insù, che nutriva il vero obiettivo di mettere le mani su Marulla, affascinante schiava siciliana, ma soprattutto sul patrimonio di Ortobulos. Vinto il processo, Ortobulos si era imbarcato in un secondo matrimonio, con Ermia, a sua volta vedova del ricco Epicare, ed è a questo punto che viene ucciso avvelenato (letteralmente) con la cicuta (e a questi veleni si interessa Teodoro, di circa 10 anni, fratello minore di Stefanos).

VELENI METAFORICI
Un anno dopo. La cronologia temporale viene ripristinata, Aristotele adesso è vedovo, mentre la data del matrimonio di Stefanos è pregiudicata per via della sua partecipazione in qualità di testimone al processo per il delitto di Ortobulos. Infatti Smicrine, l’irascibile suocero di Stefanos, non vuole che la figlia Filomela (15 anni) si sposi fintantoché il genero non si liberi dal coinvolgimento in un crimine tanto orribile.
Il delitto ha tutta l’aria di essere un complotto di famiglia: Crito, il figlio maggiore (17 anni) di Ortobulos, indica come colpevole la sua acerrima nemica, la matrigna Ermia – per l’occasione viene ospitata (insieme a Carite, la figlia di 5 anni avuta dal primo matrimonio) e difesa da suo zio Fanodemos, storico ed esperto di riti religiosi. Il secondo figlio di Ortobulos, Cleofonte, di 14 anni, difende invece la matrigna quando scompare misteriosamente…
Tempo dopo, in un altro bordello (quello della tenutaria Trifena, più costoso), sempre Stefanos assiste stavolta al famoso “delitto” (metaforico!) di Frine (vero nome Mnesarete) la splendida e leggendaria hetaira d’alta classe (o etera: leggasi donna di compagnia, ovvero cortigiana o prostituta), anzi (per dirla con Posidippo) “l’etera di gran lunga più celebre“. Frine, la donna più bella dell’Attica, ebbe una relazione (amorosa/professionale) con lo scultore anziano ma di grande energia Prassitele figlio di Cefisodoto (che nel finale fa un “cammeo” preannunciando la sua grandiosa quanto scabrosa opera d’arte), e fu al centro di diverse rappresentazioni scultoree: oltre alle statue da lei commissionate, segnaliamo proprio l’Afrodite cnidia di Prassitele. Tra le “apparizioni” di Frine nell’arte moderna vale la pena segnalare Frine davanti all’Aeropago di Jean-Léon Gérome, è citata da Baudelaire in Lesbo e La bellezza, e le hanno anche dedicato un film: Frine, cortigiana d’Oriente (1953).

IL POPOLO DI ATENE CONTRO FRINE
Tornando a noi, Frine è accusata di empietà (osa celebrare i miti eleusini nel pieno di un festino) e di insegnare ad adorare un nuovo Dio (Isodaites, l’Equo Divisore o Dio delle Parti Uguali): e sono questi reati che prevedono la pena di morte. Il suo accusatore si chiama Aristogitone, un uomo di idee e abitudini spartane che vuole emendare Atene delle sue impudicizie, tanto che nella sua non richiesta arringa pubblica al mercato degli schiavi, sostiene che il veleno nel cuore di Atene è quello della prostituzione, che rammollisce gli uomini. Prima denuncia Frine, poi manda il suo agente Teramene in cerca di testimoni per il processo, e ovviamente Stefanos cerca in tutti i modi di nascondere la sua presenza al bordello per non essere coinvolto nell’ennesima “rogna” giudiziaria (dopo essere già stato tirato in ballo nel processo di Ortobulos).
Il processo per empietà di Frine si tenne realmente, probabilmente nel 350 a.C. (sicuramente Aristotele era vivo all’epoca dei fatti), ed è stato molto documentato: un evento dalle gravi implicazioni politiche (per via delle posizioni antimacedoni della donna), che ha voluto sostenitori e detrattori sull’effettivo accadimento del denudamento ad opera del suo difensore Iperide. Frine è una figura leggendaria, e il suo denudamento pubblico ha avuto del mitologico.
Nel suo thriller la Doody ricostruisce la sequenza in maniera evocativa, avvincendoci come nessun saggio storico saprebbe mai fare. Ci presenta Iperide come noto e benvoluto oratore di 61 anni, probabilmente amante di Frine (e disposto a tutto pur di non perderla), sua (nella realtà) è infatti una delle orazioni più famose nell’antichità (Per Frine), ma è anche colui che (nella “finzione” del precedente episodio) si era scagliato contro Aristotele e la salma fresca di sua moglie. Aristotele sa però che questo non è un processo religioso, bensì un processo politico e, avvertendone la pericolosità (Socrate fu processato per empietà e avvelenato con la cicuta, ma il suo delitto era eminentemente politico),mette da parte i propri risentimenti (se mai ci sono) per salvare la metropoli che ospita il suo Liceo e il mondo che ama (e che, in quanto straniero, non lo accetta del tutto) prima che finisca in mille pezzi.

IL TRAMONTO DI ATENE
Riecheggiando il grandioso episodio giudiziario che aveva tenuto il lettore in scacco nel primo romanzo, la Doody raddoppia la posta in gioco. Entrambi i processi – Crito contro Ermia, e “il popolo ” contro Frine – avvelenano Atene: sono tempi fragili, la costituzione è debole, tutto potrebbe rovinare da un momento all’altro. L’acuta indagine di Aristotele attraversa la topografia di Atene dall’alto in basso, in lungo e in largo, facendo di questa nuova avventura poliziesca l’ennesimo spaccato di scientifica attendibilità della vita quotidiana nella Città-stato giunta alla sua piena maturità, leggasi: sul limitare del prossimo tramonto.
Con traduzione di Rosalia Coci, Aristotele e i veleni di Atene è dedicato dall’autrice al nipote Eamon, l’artista “nel nome di Prassitele“. Dopo l’invocazione inaugurale (ancora per Apollo), segue l’iniziale elenco dei personaggi che porta alla nostra attenzione i rispettivi circoli familiari e le persone vicine ad Aristotele, a Stefanos e ad Ortobulos insieme ad altri cittadini e abitanti di Atene.
Nel nuovo episodio Stefanos è meno sprovveduto che in passato, sempre più abile nell’esaminare le scene del crimine, cosa che consente alla scrittrice di regalarci qualche sfumatura pulp. Immancabile pure la presenza di Teofrastos, ricercatore di 40 anni con uno spiccato interesse per le piante (e quindi fondamentale per capirne di più sui veleni), braccio destro di Aristotele al Liceo, con cui Stefanos è costretto suo malgrado a collaborare nelle indagini (e a competere per i favori del maestro). Ed entrambi collaborano nolenti con Archia, attore italiano che lavora come spia e cacciatore di taglie sotto la protezione di Antipatro, nonché diversivo comico per il lettore.

STILE E CONCLUSIONI
In queste storie, a fronte di risoluzioni apparentemente semplici, si nascondono sempre intricatissimi complotti che possiamo sbrogliare solamente grazie all’ingegno di colui che nel quadro La scuola di Atene di Raffaello punta, diversamente dal suo maestro Platone, il dito verso le cose terrene: infatti secondo i sillogismi dell’etica di Aristotele, solo nella vita teoretica, la più conforme alla sostanza razionale dell’uomo, può ritrovarsi la vera felicità e la vera virtù.
L’accuratezza del pensiero del protagonista, che qui sostiene come solo gli uomini liberi e gli animali siano esseri dotati di autonomia (quindi non gli schiavi), mentre nel precedente libro era venato di misoginia, motiva come sia ancora difficile adattare questi volumi in una serie per il piccolo schermo, tuttora alla ricerca di un degno sostituto del commissario Montalbano. La cosa che più spiace, giunti alla sesta puntata, è che la storia cosiddetta orizzontale (che va a incastrarsi con la trama verticale e autoconclusiva del singolo episodio) proceda al rallentatore (sembra che Stefanos non debba sposarsi mai!).
Il difetto più grande delle detection imbastite dalla Doody è che il giallo parte davvero tardi, quasi oltre la metà delle pagine (e la la lunghezza del volume non aiuta il lettore impaziente), ma il pregio è che, al netto di tutto, è sempre un piacere leggerla, qualsiasi cosa scriva. Più siamo andati avanti nella serie più si è radicata la convinzione che Aristotele detective è stato come il proverbiale fulmine in bottiglia catturato da Margaret Doody, un caso irripetibile, che a lungo andare ha però aperto la strada a una serie di giallo storico che ha più della soap e meno del mystery. Comunque, se non è il migliore della saga, Aristotele e i veleni di Atene andrebbe quantomeno collocato giusto un gradino sotto Aristotele detective.
Finito di leggere: venerdì 26 maggio 2023.
Nel salutarvi, vi invito a leggere Aristotele e i veleni di Atene di Margaret Doody, e a tornare su questa pagina per dirmi cosa ne pensate.