CECITA’ di José Saramago
EPIDEMIA
Premio Nobel per la letteratura nel 1998, Josè Saramago è poeta, drammaturgo e giornalista portoghese (tutte le sue opere sono pubblicate in Italia da Feltrinelli). Come tutti i geni Saramago ha saputo anticipare i tempi.
In Cecità (1995), come ben spoilera il titolo, l’umanità ha a che fare con un’epidemia che rende ciechi. A differenza dell’agnosia (o cecità psichica) che sarebbe l’incapacità di riconoscere quel che si vede, e a differenza dell’amaurosi, dove è tenebre totale, questa epidemia fa calare un biancore latteo davanti agli occhi. Magistrale il primo capitolo in cui percepiamo la straordinarietà dell’evento quando colpisce un singolo individuo (il “paziente zero”) in circostanze del tutto normali. Magistrale il secondo capitolo in cui seguiamo il diffondersi dell’epidemia che rimbalza da uomo comune a uomo comune. A tal proposito la maniera in cui il ministero tenti di controllare il bizzarro fenomeno negandone la diffusione ricorda la gestione del disastro di Chernobyl da parte del governo russo o dell’epidemia da COVID-19 da parte del governo cinese. Magistrali tutti gli altri capitoli.

I NUOVI CIECHI
Non appena i “nuovi ciechi”, per contenere l’infezione, vengono ammassati in un manicomio circondato dall’esercito, tutti loro smarriscono l’originaria identità toponomastica e si riconoscono l’un l’altro, stranamente, chiamandosi non per nome proprio ma a seconda di caratteristiche impersonali (questo un tratto tipico di Saramago) anche fisiche o relative a ruoli che non contano più nulla: il primo cieco, il medico, il ladro, la ragazza con gli occhiali scuri e il ragazzino strabico. La moglie del medico non è mai diventata cieca, finge semplicemente per poter stare vicina al coniuge, e in lei potrebbe forse nascondersi la cura a questo beffardo male…
Il razionamento del cibo, l’assegnazione dei posti letto, la pulizia degli ambienti, il sotterramento dei cadaveri (sì, i militari fuori hanno il grilletto facile) sono problemi che crescono di portata insieme al crescente sovraffollamento degli spazi, quando ad esempio anche i contagiati (ancora vedenti) vengono reclusi insieme ai ciechi. Quelli che vengono da fuori portano notizie del mondo esterno, di come i contagi stiano prendendo una piega sempre più drammatica. L’epidemia è inarrestabile, proprio come quella superbamente raccontata ne L’ombra dello scorpione (pur se la deriva horror di Stephen King è paradossalmente più vicina a quanto abbiamo vissuto noi in prima persona con l’emergenza sanitaria del 2020).

I CIECHI MALVAGI
Se c’è una cosa che c’era prima della cecità e che c’è anche dopo, è l’indifferenza verso il prossimo. La pessimistica analisi antropologica di Saramargo fa emergere da questa nuova condizione umana i più biechi atti di terrore e violenza. La nuova società che si forma all’interno di questo labirinto razionale rappresentato dal manicomio riparte sì da zero, si fa beffa di ogni convenzione civile, e lo fa nel peggiore dei modi: si ritorna a uno stato precedente a quello della civiltà, dove domina la legge del più forte, quella dell’homo homini lupis.
La critica alle strutture di potere contemporanee è evidente quando un gruppo di ciechi malvagi prima si arroga il diritto di distribuire il cibo in cambio di “compensi materiali”, e poi addirittura in cambio di prestazioni in natura da parte delle donne nelle varie camerate. Fra tutte le forme possibili di autogestione, l’ha vinta una brutale oligarchia che fa uso della violenza per mantenere il controllo. Sembra che una forma di solidarietà sia possibile solo nella comunità femminile, sebbene nemmeno loro rimangono immuni dal praticare violenza, nel loro caso però viene applicato non per tornaconto personali bensì per il benessere della collettività.

Queste microsocietà che si vengono nel manicomio a creare ci offrono una rappresentazione semi-realistica delle società lì fuori e delle aberrazioni perpetrate da chi, a turno, tiene il coltello dalla parte del manico.
CONCLUSIONI
Molti personaggi torneranno nel sequel Saggio sulla lucidità. Inoltre il romanzo è stato adattato in un omonimo film del 2008 diretto da Fernando Meirelles che ha aperto l’edizione di quell’anno del Festival di Cannes. Nel cast troviamo star del calibro di Julianne Moore, Mark Ruffalo, Gael Garcìa Bernal, Danny Glover, Alice Braga e Sandra Oh.

Sin dalla prima riga di Cecità il flusso di scrittura di Saramago se ne infischia della punteggiatura così da richiamare nella nostra immaginazione di lettori un mondo cieco, dove i dettagli si susseguono senza soluzione di continuità, come in un affastellarsi di stimoli sonori che possono fare a meno dell’interpunzione visiva: ridotti noi ad essere i personaggi di cui leggiamo, ci capiamo lo stesso, anzi, di più, diventiamo noi stessi i personaggi del libro. D’altronde il labirinto demenziale delle nostre città non è così diverso da quello raffigurato per metafora.
Di una crudezza che non ti aspetti, Cecità è un racconto fantastico, ma il suo stile essenziale e il fatto di non avere un luogo e un tempo di ambientazione definiti, rende il tutto più universale e angosciante, così attuale e vicino ai tempi nostri. In un periodo come quello che abbiamo vissuto (l’epidemia di COVID-19) e che stiamo vivendo (l’invasione russa dell’Ucraina), questo libro ci ricorda quanto sia facile per l’uomo perdere il lume della ragione in favore degli istinti più bestiali, come se non imparasse mai nulla dal proprio passato. Eppure Saramago non ci condanna fino in fondo, lui vede e ci fa vedere una luce in fondo al tunnel.
Finito il libro la storia finisce lì, ma la riflessione no, a meno che il lettore si rifiuti di “aprire gli occhi”.
Finito di leggere: domenica 17 aprile 2022.
Nel salutarvi, vi invito a leggere Cecità di José Saramago, e a tornare su questa pagina per dirmi cosa ne pensate.