C’ERA UNA VOLTA A HOLLYWOOD di Quentin Tarantino
REGISTA O SCRITTORE?
Lo dico sin da subito. E’ con una certa emozione che recensisco il primo romanzo di Quentin Tarantino, il regista più simile a una rock star che si sia mai visto, un uomo di cinema che si è sempre definito uno scrittore prima ancora che regista. Non che ci volessero due Oscar alla sceneggiatura per dimostrarlo (per Pulp Fiction e Django Unchained). Ma adesso che è stato pubblicato il suo primo vero romanzo, C’era una volta a Hollywood, edito da noi con La Nave di Teseo, possiamo provare a capire se quella definizione che l’autore pulp per eccellenza dà di sé sia aderente al vero.
Segnaliamo che contestualmente è stata pubblicata una riedizione della sceneggiatura di Pulp Fiction, per la prima volta pubblicata in Italia anni fa proprio da Elisabetta Sgarbi de La Nave di Teseo. Sul mercato italiano è invece assente l’audiolibro letto da Jennifer Jason Leigh, l’attrice che per Tarantino ha impersonato la pericolosa latitante Daisy in The Hateful Eight.
C’ERA UNA VOLTA A HOLLYWOOD
Il titolo del libro perde i tre puntini di sospensione presenti in quello del film: C’era una volta a… Hollywood. Un titolo che Tarantino ha preso di peso da uno dei suoi registi preferiti, e fra i più amati sia da questa parte che dall’altra dell’oceano: Sergio Leone. Le pellicole di C’era una volta il West e C’era una volta in America (badate, senza puntini di sospensione) raccontano di “un mondo che non c’è più“, rispettivamente quello del mito fondante del paese dalle stelle e strisce e quello del proibizionismo nell’età d’oro dei gangster. La prima riga delle favole è da allora rimasta nella testa di Tarantino, tanto da consigliare anni fa al suo collega e amico fraterno Robert Rodriguez il titolo giusto per l’ultimo film della trilogia sul mariachi Antonio Banderas: C’era una volta in Messico.

Finalmente anche Tarantino ha avuto la sua occasione di rievocare, in celluloide e sulla pagina scritta, un mondo finito e nel quale scommettiamo avrebbe voluto vivere: la Hollywood del 1969. Del resto, così scrive nella iniziale descrizione dei personaggi “Bisognava esserci…“
IL MONDO PERDUTO
No, non è un caso che dopo i due Kill Bill il regista del Tennessee, californiano di adozione, si sia dedicato quasi esclusivamente a film in costume (da Bastardi senza gloria a The Hateful Eight) con una breve incursione nel presente (ma venato di seventies) in quel gioiello incompreso che è Grindhouse – A prova di morte. In un’intervista ha infatti ammesso candidamente che non avrebbe mai girato film incentrati sulle relazioni moderne fatte di digital, social e smartphone. Se i risultati sono quelli di C’era una volta a… Hollywood, come dargli torto?
Tarantino ha sempre dichiarato di volere avere un controllo creativo sulla sua carriera regista e di non volere realizzare più di dieci film: l’idea è quella di ritirarsi dalle scene quando ancora è in vetta, prima che la vecchiaia lo porti a realizzare cattivi film come capitato in passato a registi da lui venerati come Don Siegel che, dopo il capolavoro Fuga da Alcatraz, ci ha consegnato due pellicole assolutamente dimenticabili. Beh, manca ancora un film all’appello prima che la filmografia di Tarantino possa dirsi completa, e nell’attesa di quel nefasto giorno ci deliziamo con la novellizzazione della sua ultima fatica cinematografica.

Dopo il frontespizio che ha il sapore di una locandina cinematografica (presentata dalla Columbia Pictures!), e la classica (quindi inaspettata) alzata di mani tipica di un’opera di finzione, scopriamo la dedica del volume: alla moglie Daniella e sua figlio Leo (non un omaggio a Leonardo Di Caprio ma al nonno di lei), e “a tutti gli attori della vecchia guardia che mi hanno raccontato storie impagabili sulla Hollywood di quel periodo“: Bruce Dern (che nel film ha la parte inizialmente pensata per Burt Reynolds prima che morisse), David Carradine (ciao Bill), Burt Reynolds, Robert Blake, Michael Parks (che ha prestato il volto all’immaginario sceriffo Earl McGrow ricorrente sia nei film di Tarantino, da Kill Bill a Grindhouse, sia in quelli di Robert Rodriguez, da Dal tramonto all’alba a Grindhouse – Planet Terror), Robert Forster (il protagonista di Jackie Brown) e soprattutto (uno dei pochi ad essere ancora in vita di questa lunga lista) Kurt Russell (suo attore feticcio da Grindhouse in poi fino a C’era una volta a… Hollywood).
NOVELLIZZAZIONE
Se la copertina americana del romanzo riprende i ritratti del cast principale della pellicola, quella italiana ricorda invece le atmosfere dei noir di Joe R. Lansdale, ritraendo la Cadillac Coupe DeVille 1964 del protagonista Rick Dalton guidata sempre dal suo “socio” (e co-protagonista) Clifford “Cliff” Booth (questi possiede invece una più “umile” Volkswagen Karmann Ghia decappottabile).
Ogni volta che Tarantino fa qualcosa sembra sempre che non ci abbia mai pensato nessuno prima di lui. Ed è davvero così. La novellizzazione, ovvero la trasformazione di un film in romanzo, e non l’inverso come spesso succede, è una pratica nata negli anni ’60 e in realtà mai cessata del tutto. Di solito a occuparsene sono scrittori ignoti che vengono pagati una miseria perché il circo dell’industria hollywoodiana continui a spremere e monetizzare le sue galline dalle uova d’oro: dalle novellizzazioni dei film per ragazzini a quelle dell’universo di Star Wars. Uno dei pochi casi eccellenti è 2001: Odissea nello spazio, il cui soggetto cinematografico scritto da Stanley Kubrick insieme ad Arthur C. Clarke è stato successivamente adattato nell’omonimo romanzo.

DAL BASSO VERSO L’ALTO
Per sua ammissione, sappiamo che Quentin Tarantino aveva già scritto due capitoli della novellizzazione de Le iene, il suo debutto cinematografico datato 1992, ma poi si è cimentato su quella di C’era una volta a… Hollywood in quanto ha ritenuto che la storia fosse ancora fresca nella mente del pubblico. Per quanto riguarda Le iene, dopo avere favoleggiato di rifarne un remake con un cast all black come suo ultimo film, pare che adesso diventerà uno spettacolo teatrale rimodernizzato. Si dice che prima del suo “pensionamento” Tarantino abbia in programma due libri, saggi di cinema e un’altra opera teatrale. Vale la pena ricordare che The Hateful Eight, prima del leak che aveva reso pubblico online il copione, era stato rappresentato a teatro ma poi Tarantino ha cambiato nuovamente idea e ne ha fatto nuovamente un film (che Netflix America ha anche riproposto nella formula “miniserie”).
Esistono scrittori che diventano registi, e registi che diventano scrittori. Ma nessun regista prima di Tarantino ha mai scritto un libro tratto dal proprio film. Nessuno prima di lui si è mai dedicato a un genere “basso” come la novellizzazione e per di più rendendo l’opera un bestseller sin dal giorno d’uscita in libreria. Chi altri poteva riuscirci se non il poeta del genere cinematografico “basso” che da solo è riuscito a trasformare in una forma d’arte, generando epigoni a mai finire che però mai sono riusciti a replicarne il successo?
“CHIAMAMI MARVIN”
Il romanzo si apre con l’incontro fra Marvin Schwarz (NON Schwartz) – ruolo scritto appositamente per Al Pacino – e Rick Dalton (Leonardo Di Caprio). Non in un locale messicano alla presenza anche di Cliff come nel film, ma a tu per tu nell’ufficio di Marvin alla William Morris Agency.

Per chi si chiede come mai una parte minore come quella di Marvin sia stata affidata a un gigante come Al Pacino, il libro offre una risposta chiara: è forse uno dei personaggi preferiti da Tarantino fra quelli da lui creati, e anche se la durata del film non ha consentito di concedergli maggiore spazio, era inevitabile che scegliesse un interprete di statura per questo ruolo così piccolo ma così immenso.
COFFE AND CIGARETTES
Marvin fa servire a Rick una miscela pregiata di caffè presa dall’ufficio di un collega che l’ha comprato in qualche ignota gastronomia di Beverly Hills. Lo scambio di complimenti che ne segue è un’autocitazione di quelli scambiati sul caffè preparato dal personaggio dello stesso Quentin Tarantino in Pulp Fiction.
Dal canto suo, Rick fuma sigarette Red Apple (lo sponsor di Bounty Law) anche nella vita vera. Se non avete mai visto un film di Tarantino per qualche misterioso motivo, allora forse vi sarà sfuggito che le Red Apple non esistono se non nel suo universo narrativo, dove vengono fumate dalla gran parte dei suoi personaggi. La scena post-credit di C’era una volta a… Hollywood è proprio un divertente spot della Red Apple girato da Rick Dalton. Nel romanzo a un certo punto, quando Cliff dà da mangiare al suo cane, guarda in TV uno spot della Red Apple interpretato da Burt Reynolds.

RICK DALTON
Rick è fragile (di tanto in tanto lo prende una lieve balbuzie), meschino e manca di umiltà: attore di film “inventati” come Tanner e I quattordici pugni di McCluskey (dove totalizza un count kill, ovvero conteggio dei nemici ammazzati, così alto da non sfigurare se accostato a quello di Commando e Rambo III) ha talmente rotto le scatole sul set di Bounty Law (la serie TV western che lo ha reso famoso e che Tarantino vorrebbe realizzare sul serio) in modo da rendere impossibile il rinnovo per una quarta stagione. Per quale ragione? Perché come molti attori resi celebri dalla televisione Rick si è stancato e vuole fare il salto sul grande schermo. Pensa: se c’è riuscito Steve McQueen perché io no? Solo che Marvin gli fa notare che l’essere stato assunto negli ultimi anni come cattivo in episodi di vari telefilm dove i protagonisti sono altri giovani e rampanti attori che lo battono in duello, ha seriamente minato il suo status di celebrità così come viene percepito dal grande pubblico. Marvin è un agente famoso per piazzare attori americani nel mercato europeo, e a differenza che nella versione filmica, qui spiega esattamente perché Cliff può avere successo oltreoceano: non in quanto Cliff, ma perché assomigliando a Steve McQueen e non potendo i produttori europei permettersi Steve McQueen, allora preferiscono quello che più gli assomiglia. Insomma, Cliff è davvero arrivato al capolinea.
POINT OF VIEW
Tarantino non indugia su quello che provano i personaggi, lascia che le emozioni traspaiano dalle loro parole, dai loro gesti, dalle loro azioni. A volte ci svela i pensieri dei personaggi tramite dei corsivi, ma non rimane mai fedele a un solo personaggio: nel medesimo capitolo, da un paragrafo all’altro, ci imbattiamo nei pensieri ora di un personaggio ora di un altro. No, Tarantino non riesce proprio a stare dalla parte di uno soltanto dei suoi personaggi, lui li ama tutti e vuol farcelo sapere, pur incorrendo nel rischio di confondere il lettore.
La scrittura onnisciente (su più livelli se possibile) di Tarantino è talmente appassionata che lui stesso non resiste dall’esprimere la propria opinione direttamente nel testo (“negli Stati Uniti – e quando dico “Stati Uniti” dico Hollywood”, ecc.), sbilanciando la propria opinione (“l’autovettura vintage e i suoi occupanti altrettanto datati”) e soprattutto quando parla di cinema arriva a parlarci di anni successivi nella vita dei suoi personaggi quindi discostandosi fortemente dal tempo del racconto.

Sembra quasi che a volte Tarantino tiri un po’ il freno per evitare critiche del tipo “la scrittura è cinematografica” o “sembra di leggere un copione”, pagando una certa ridondanza nella discorsività fra una battuta e l’altra (“l’attore disse”, “lo stuntman rispose”, ecc.) e una certa fretta nelle descrizioni dei personaggi alla loro prima entrata in scena.
I dialoghi sono imbastiti di citazioni e volgarità vecchio stile, come si conviene a una delle sue migliori sceneggiature, ma quando si straparla sul mondo della celluloide Tarantino si intromette con incisi per chiarire meglio al lettore certi nomi o certi titoli di film: in questi casi ci sembra di udire la voce fuori campo di Harvey Keitel in Bastardi senza gloria che interrompe la narrazione per illustrarci le qualità infiammabili di un rullino di pellicola.
CLIFF BOOTH
La migliore introduzione rimane quella di Cliff Booth, un Huck Finn alto e biondo che se ne va in giro vestito in completo di jeans e t-shirt nera come il protagonista di Billy Jack… anzi, proprio con il costume di scena che gli fu regalato alla fine delle riprese, costume che anche Tarantino indossa nel ritratto in quarta di copertina. Sì, i personaggi secondari scritti da Tarantino brillano sempre più dei protagonisti (si vedano i due Oscar a Christoph Waltz): Brad Pitt ha vinto il suo primo e unico Oscar per l’interpretazione di Cliff Booth, ed è questo un personaggio non solo amatissimo da Tarantino ma che gli somiglia anche per molti versi.

Ex sergente nella Seconda Guerra Mondiale e medaglia al valore, prima combattente in Sicilia (come il tenente Aldo Reine, sempre interpretato da Brad Pitt in Bastardi senza gloria), poi prigioniero dei giapponesi. Le sue gesta in guerra hanno persino ispirato un piccolo film dal titolo La battaglia del Mar dei Coralli, interpretato da Rick Dalton prima che i due si conoscessero. Da reduce, per un certo tempo Cliff ha pensato di fare il magnaccia (il monologo del protettore francese che gli dà delle dritte dovrebbe entrare di diritto nell’empireo dei monologhi scritti da Tarantino insieme a quello di Dennis Hopper in Una vita al massimo) prima di diventare controfigura a tempo pieno.
CLIFF BOOTH E’ QUENTIN TARANTINO
Il rapporto di interdipendenza fra il duro e compassato Cliff Booth e il molle e spocchioso Rick Dalton, l’uno la controfigura dell’altro, prima collaboratori e poi amici, è uno dei punti di forza della storia. Il libro ci racconta di più sul passato militare di Cliff, di come all’inizio non andasse a genio a Rick ma di come divennero inseparabili sul set di Bounty Law dove si conobbero.
Se Rick vede solo i film americani o al massimo britannici snobbando il resto dell’industria, Cliff conosce tutti quanti i cinema di Los Angeles dove ama portare le sue conquiste amorose e guardare i film in lingua con i sottotitoli. Detesta il Fellini circense, Truffaut lo annoia, trova che Antonioni sia un ciarlatano, e il suo regista preferito è Akira Kurosawa: “non era un “artista raffinato”, ma aveva un talento prodigioso per mettere in scena il dramma e il pulp in modo artistico”. Vi ricorda qualcuno?
Cliff ama i fumetti Marvel e la letteratura pulp, è di fatto un fan del personaggio di Matt Helm, quello dei romanzi non quello dei film (viene in mente una battuta simile fatta in Grindhouse a proposito di Fuori in 60 secondi). In una delle sue peregrinazioni cinematografiche, Cliff è rimasto folgorato dalle scene di evirazione ne L’impero dei sensi e in Street Fighter con Sonny Chiba (il costruttore di spade in Kill Bill): possiamo quindi intercettare in quale momento Tarantino si sia fissato con la castrazione del cattivo diventato suo marchio di fabbrica sin dai tempi di Pulp Fiction.

Sia Cliff sia Tarantino odiano i film post Seconda Guerra Mondiale che hanno ripulito l’immagine cinematografica a livelli irrealistici. Si vede che il regista ha fatto bene i compiti studiando a menadito gli anni in cui è ambientata la storia, soprattutto a livello cinematografico, e i tanti anni di ricerca sugli anni Sessanta condotti per la realizzazione del film trovano sulla pagina massimo risalto nelle parti in cui il romanzo si trasforma in un autentico e pregevole saggio storico sul cinema di quel decennio: dallo scandaloso film svedese Io sono curiosa (Giallo) che segnò l’inizio sugli schermi americani di una nuova stagione più erotica alle “ipocrite” interpretazioni degli antieroi americani (Brando, Newman, Mitchum) rispetto alle vere carogne europee (Belmondo ad esempio), dai melodrammi anni ’50 alle pellicole sequestrate dalle corti federali.
UNA TESTA CALDA
Inoltre Cliff non ha “fatto il culo” soltanto a Bruce Lee come si vede nella celebre e discussa scena del film, ma anche ad altri tizi come il regista “nazista” Otto Preminger e Robert Coburn: anzi, Cliff veniva pagato come ringer con un extra in nero se provocava e poi impartiva sonori schiaffoni a quegli arroganti, prima di essere licenziato ovviamente. Sì, non solo i gusti ma anche la testa calda Cliff l’ha sicuramente presa da Tarantino, che una volta fece a pugni in un locale con il produttore di Natural Born Killers per avere stravolto la sua sceneggiatura.

Molto di più scopriamo sulla vita di Cliff, di come l’uomo non abbia ucciso soltanto in guerra e di come anche a Los Angeles l’abbia sempre fatta franca, sia quando c’era da regolare i conti con l’ex socio dei combattimenti per cani sia quando bisognava mettere una pietra sopra due gangster italiani (e i versi razzisti che dedica loro prima di farli fuori ricordano proprio quelli di Dennis Hopper nel monologo di Una vita al massimo).
Finalmente il romanzo ci dà una risposta netta su come andò a finire con sua moglie: se il film ci lasciava nel dubbio, il libro afferma senza mezzi termini che Cliff è colpevole di omicidio. La scena, splatter nella migliore tradizione tarantiniana, vede la moglie Billie tagliata in due dall’arpione sparato dal fucile per la pesca: in seguito Cliff unisce le due parti del corpo per tenerla in vita più a lungo possibile. In effetti si dice che ha sparato non per decisione, ma per istinto.
Infine scopriamo anche come Cliff sia finito per ospitare nella sua roulotte il pitbull femmina di nome Brandy. Nota a margine: se il film era rimasto a bocca asciuta al Festival di Cannes dove era stato presentato, almeno il cane aveva vinto il Palm Dog per la migliore interpretazione canina!

A TUTTO VOLUME
Bisogna dirlo. E’ un vero piacere scorrazzare insieme a Cliff avanti e indietro a bordo della sua Karmann Ghia ascoltando i mitici pezzi della KHJ, la radio che regnava a Los Angeles nei decantati anni Settanta, e delle voci dei cui deejay è colmo l’album con le musiche del film (che per ovvie ragioni di durata, e di diritti immaginiamo, non le contiene davvero tutte). E anche il libro, come un qualsiasi film di Tarantino, è straripante di musica pazzesca. Anzi, se avete modo di ascoltare separatamente il disco con la colonna sonora, troverete gli inserti vocali dei dj della KHJ, come il “vero” Don Steele, non presenti nel film ma riportati letteralmente nel romanzo.
Rick ha casa a Cielo Drive, sulle colline di Hollywood. L’ingresso è segnato dal cartellone pubblicitario de La rivolta dei comanche, primo film da coprotagonista di Rick, nel quale la faccia dell’attore è schiacciata dal piede di un indiano (uno zoom all’indietro sulla locandina è la prima inquadratura del film mentre i due soci salgono in auto per recarsi all’incontro con Marvin). Accanto a casa di Rick si sono trasferiti Roman Polanski, il “primo regista rockstar” (vi dice qualcosa?) fresco del successo di Rosemary’s Baby (dopo aver dichiarato il suo amore verso il film, Tarantino ci dice anche di trovare il trailer per certi versi migliore del film stesso) e sua moglie Sharon Tate (Margot Robbie nel film), che Cliff e Rick vedono arrivare a bordo di una spider. Ecco, la “scrittura cinematografica” di Tarantino in questo caso risente dell’effetto copione bruciando l’entrata in scena di questi due mitici (e autentici) personaggi.
RITORNO AL FUTURO
La trama principale si articola principalmente in due giorni: venerdì 7 febbraio e sabato 8 febbraio del 1969. Il primo giorno riguarda l’incontro con Marvin Schwarz. La sera, nella sua villa, Rick beve così tanti whiskey sour sdraiato in piscina sulla sua poltrona gonfiabile fino a svenire.

In uno degli sfacciati salti temporali di Tarantino, possiamo però scoprire due cose sul destino di Rick. Uno, soffrirà di depressione e alcolismo. Due, per sopravvivere ai tempi degli hippie Rick si trasferirà in Italia per girare un western (Nebraska Jim) con Sergio Corbucci, il secondo miglior regista di spaghetti-western. Nel Bel Paese lo attende anche il matrimonio con l’attrice italiana Francesca Cappucci (nel film Lorenza Izzo, una delle squilibrate di Knock Knock di Eli Roth, regista pupillo di Tarantino e attore in alcuni dei suoi film).
Dopo la “gavetta” italiana e avere eliminato due hippie in casa sua con il lanciafiamme – esatto, Tarantino sa che abbiamo visto il film e quindi non ha paura di spoilerarcene il finale (ATTENZIONE SPOILER: questo non è più il finale del libro)! – Rick si rimetterà in carreggiata con I diavoli del mare e 4 per Cordoba, uno dei sequel mancati dei Magnifici sette.
Tornando alla mattina dell’8 febbraio, Rick cerca di riprendersi dalla sbornia e si dà coraggio parlando al suo riflesso allo specchio come faceva John Travolta in Pulp Fiction. Deve infatti presentarsi sul set di un nuovo telefilm western della CBS, Lancer, per interpretare il cattivo dell’episodio pilota.Se non sapete cosa sia un episodio pilota, ve lo spiegano Samuel L. Jackson e Uma Thurman in Pulp Fiction.

LANCER
Lancer è una vera serie TV incentrata sulle avventure di Johnny Madrid, pistolero mezzo messicano che venne interpretato da James Stacy. Nella realtà Stacy si era fatto notare come guest star per l’episodio Vendetta del seguitissimo Gunsmoke, nella finzione ha conosciuto Rick sul set di Bounty Law, e quella di Lancer è la sua occasione in prima base. Sul grande schermo Tarantino ha affidato la parte di James Stacy / Johnny Madrid al convincente Timothy Oliphant, il cui physique du role è maturato nei cinque anni da protagonista per il serial western Justified (e dal cui set Tarantino ha già rubato il gigionesco Walton Goggins per i suoi due western). Oliphant, che recentemente abbiamo visto anche come pistolero futuristico nella seconda stagione di The Mandalorian, è praticamente nato per questo ruolo.
Dobbiamo però soffermarci a sottolineare un errore storico, chiaramente voluto dall’autore. La prima puntata di Lancer, intitolata The High Riders, è stata trasmessa sulla ABC il 24 settembre 1968, quindi Rick non può aver preso parte alle riprese del pilota nel 1969. Ma qual è la ragione di questo anacronismo? E’ presto detto, almeno secondo la nostra interpretazione: Johnny Madrid fu il primo e il più antieroico dei protagonisti di un telefilm western e di fatto Lancer segnò il declino di questo genere televisivo nel decennio successivo. C’era una volta a Hollywood parla proprio di questo, di un anno di transizione (il 1969), da un’epoca all’altra, dove tutto era destinato a cambiare… ecco allora che la scelta di Lancer assume dei connotati del tutto diversi.
“MENO HIPPIE, PIU’ HELLS ANGELS”
Sul set, dietro richiesta del regista Sam Wanamaker, la truccatrice e la costumista seppelliscono Rick sotto un paio di baffi alla Zapata in stile spaghetti western, parruccone e giacca con le frange da hippie ma scolorita in maniera “moderna” alla Hells Angels, per trasformarlo nel cattivissimo Caleb DeCoteau, il capo dei ladroni di bestiame conosciuti come “pirati della prateria“ che vuole mettere in ginocchio Murdock Lancer, il più ricco allevatore della zona.

Dopodiché Rick si aggira nel villaggio western ricostruito sul set in cerca di un posto tranquillo dove leggere un romanzo western tascabile (A cavallo di un Mustang selvaggio), come John Travolta leggeva dappertutto un romanzo pulp tascabile in Pulp Fiction, e fumando a pieni polmoni come ha visto fare a Michael Parks.
Sul set c’è anche Bruce Dern nella parte di Bob Gilbert detto il Businessman, il tirapiedi di Caleb. Nella realtà andò proprio così: Bruce Dern interpretò il Businessman in due episodi di Lancer, anche se in C’era una volta a… Hollywood lo troviamo a interpretare George Spahn, mentre la parte di Bruce Dern che interpreta il Businessman è stata affidata a un altro attore. Per chi non lo sapesse il Businessman è il killer prezzolato che sfida Johnny Madrid all’ingresso del saloon di Royo del Oro totalmente occupato dalla banda di Caleb.
“CHIAMAMI PURE MIRABELLA”
Quando Rick decide di fermarsi, incrocia la bambina prodigio che nel telefilm interpreta la sua sorellastra Mirabella Lancer. L’attrice si chiama Trudi Fraser ed è tanto fedele al “metodo” da non abbandonare i panni del suo personaggio nemmeno quando sono in pausa. Nel film Mirabella Lancer / Trudi Fraser è interpretata dalla rivelazione Julia Butters.

Lei ha sicuramente letture più impegnate (un’autobiografia su Walt Disney) e da indisponente sputasentenze qual è si rivela anche più adulta di Rick: nutre un concetto di recitazione più maturo (Rick, che vuole essere riconosciuto solo come l’eroe protagonista e non ama trasformarsi, è evidentemente più “infantile“) e lo consola quando accidentalmente Rick si “immedesima” con il personaggio del libro che sta leggendo anziché in quello del serial che deve interpretare, prendendo atto del proprio fallimento come attore e mettendosi a frignare. Più avanti Trudi “costringerà” Rick, che pensava semplicemente di fare il crudele dovendo recitare un cattivo, a esplorare nel profondo del suo personaggio, indagandone gli abissi più oscuri, costruendone sottotesti e sentimenti.
L’ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA
La mattina dell’8 febbraio Cliff ha accompagnato Rick agli studios della Twentieth Century Fox e, dopo averlo lasciato al blacklot dove girano il pilota di Lancer, è tornato a casa del capo per sistemare l’antenna sul tetto spostata dal vento.
Dopo i lavori di manutenzione, Cliff scorazza senza requie fra le strade di una Los Angeles ballerina e antisemita: abbiamo già detto che il 1969 viene raccontato da Tarantino come un anno decisivo di grandi cambiamenti, e soprattutto nel film tutte le corse in auto di Cliff da un punto all’altro si fanno metafora proprio di quell’epoca di transizione che stavano vivendo. Quel sabato Cliff è sull’auto del capo per andare a vedere un film erotico in una piccola sala cinematografica che nel 1978 cambierà nome in New Beverly Cinema: il cinema è oggi di proprietà di Tarantino, l’unico a Los Angeles che proietta film in pellicola. Nello stesso paragrafo si parla di un’atra sala dalla programmazione erotica: il Vista, all’incrocio tra Hollywood Boulevard e Sunset Boulevard, che Tarantino ha acquistato proprio in questi giorni.

Dal canto suo Sharon Tate, minigonna e stivaletti bianchi, occhialoni e Porsche neri, dà un passaggio a una hippie mentre si reca in una libreria in città per comprare Tes dei d’Uberville da regalare al marito. La giovane, bella e lanciata attrice decide improvvisamente di fermarsi a un cinema vedere il suo ultimo film (anche se la proiezione è già cominciata), la quarta commedia action con il già citato agente segreto Matt Helm: Missione compiuta stop. Bacioni Matt Helm. Sharon vuole entrare a rivedersi sullo schermo solo per scoprire se il pubblico ride quando lei fa la parte dell’imbranata, e se quindi le è davvero riuscita bene. Il fatto di farsi riconoscere alla cassa ottenendo così l’ingresso gratuito è un dato biografico non della Tate ma di Tarantino, quando ancora da illustre sconosciuto, mentre era in compagnia di Juliette Lewis (protagonista di opere da lui scritte come Dal tramonto all’alba e Natural Born Killers) usò questa tattica per entrare a vedere gratis proprio Natural Born Killers, il film di Oliver Stone da lui sceneggiato.
KREEPY KRAWL
Nell’intervista fiume (con 3 ore di durata forse la più lunga di tutta la sua carriera) rilasciata per il podcast Joe Rogan Experience per la promozione del libro, Quentin Tarantino ha fermamente negato l’esistenza della fantomatica versione estesa da 12 ore di C’era una volta a… Hollywood, al massimo potrebbe arrivare a 3 ore e 20 minuti. Il libro è stato scritto successivamente al film e contiene quindi scene scartate in sala di montaggio.
In attesa di vedere prima o poi l’edizione estesa, o di leggere la sceneggiatura originale, non possiamo sapere quali scene non sono mai state girate, quali sono state girate e poi tagliate in montaggio, o quali sono stati scritte soltanto per il libro. Ecco una selezione delle migliori scene mancanti nella versione filmica.

1. Capitolo 5 – Kreepy krawl. Un insolito Tarantino quello che ci racconta le prime giocose incursioni della Family nelle ville dei ricconi. In particolare di Debra Jones, che Charles Manson ha ribattezzato “Pussycat” perché è la più bella delle sue hippie. Pussycat (Margaret Qualley nel film, l’indimenticabile performer dello spot Kenzo) sente la voce di Manson nella sua testa che la guida passo passo mentre nuda e furtiva come una gatta si insinua nella casa della famiglia Hirshberg in una di quelle sortite chiamate kreepy krawl: non siamo dalle parti della psicopatia perché per la prima volta Tarantino si avventura nel registro del soprannaturale e gli riesce benissimo! Charles Manson nel film ha il volto di Damon Herriman, che aveva già interpretato il serial killer, seppure in un periodo temporale diverso della sua vita, nella seconda stagione di Mindhunter.
HOLLYWOOD O MORTE
2. Capitolo 6 – Hollywood o morte. Un salto nel passato di quattro anni quando una procace e snella ragazza fa l’autostop a Dallas, Texas, con l’obiettivo di trovare un passaggio per Los Angeles dove intende sfondare come attrice. Viene caricata da un fanatico del rodeo che l’apostrofa “cowgirl“, proprio come John Travolta apostrofava in Pulp Fiction il personaggio interpretato da Uma Thurman, fresca del successo di Cowgirl – Il nuovo sesso. In questo tassello temporale (tipico della narrazione a incastro tarantiniana, ma attenzione a non chiamarlo “flashback” in sua presenza) l’aspirante attrice si rivela essere nientemeno che Sharon Tate e il conducente un illustre sconosciuto.
3. Capitolo 7 – Boss Angeles. Si esplora la vita “amorosa” di Squeaky AKA Lynette Frome (Dakota Fanning nel film, ruolo inizialmente offerto a Jennifer Lawrence), una delle ragazze di Manson, e George Sphan, il vecchio cieco che un tempo dava da lavorare a Hollywood e oggi dimenticato da tutti. La Family si è insediata nella città western, una volta set di film e oggi abbandonata all’incuria, tenendo George segregato nel ranch annesso. Vediamo Squeaky e George guardare la TV, Squeaky e George fare colazione.

4. Capitolo 7 (ancora). Jay Sebrig (Emile Hirsch nel film) è il parrucchiere più famoso di Hollywood: aggraziato e minuto come Polanski, era il fidanzato di Sharon prima dell’arrivo del regista polacco. Come dice nel film Steve McQueen durante la festa alla Playboy Mansion (accennata ma assente nel romanzo) lui non è mai stato della partita, in quanto alto e muscoloso, ma nel libro si rivela che più di una volta è andato a letto con la Tate. Un salto nel futuro ci rivela invece come Dr. Sapirstein, lo yorkshire terrier di Sharon Tate che trae il nome dal sinistro pediatra di Rosemary’s Baby, tirerà le cuoia.
Oltre alla festa di Playboy, fra le altre scene “tagliate” dal libro riportiamo, una su tutte, quella in cui Rick e Cliff guardano insieme alla TV l’episodio del telefilm FBI dove Rick interpreta il cattivo della settimana.
LANCER (ANCORA)
5. Capitolo 8 – Lancer. Tarantino novellizza non solo il suo film, ma anche la scena d’apertura (e qualche altra) dell’episodio pilota di Lancer, con l’arrivo del famoso Johnny Madrid in città: il mezzosangue con la distintiva camicia rosso sangria a balze un tempo si chiamava Johnny Lancer. L’uomo è stato rintracciato dai detective della Pinkerton sguinzagliati dal padre, che non vede da quando era un marmocchio, ovvero da quando sua madre messicana fu costretta a scappare portandolo via con sé. Il papà, Murdock Lancer, vuole porre fine alle razzie sul suo latifondo, ma non sospetta che il figlio Johnny Madrid chiamato in soccorso sia un amico del cattivissimo Caleb. Johnny arriva sulla diligenza Wells Fargo insieme a un altro uomo, Scott, un dandy bostoniano che scopre essere l’altro figliastro di suo padre. Entrambi dovranno salvare il Lancer Ranch dalle mire della banda di ladri. Nel suo film Tarantino ha affidato al parte di Wayne Maunder / Scott Stacy a Luke Perry, anche lui come Reynolds nel suo ultimo ruolo prima della prematura scomparsa.

I capitoli dedicati alla “storia di finzione” interna al telefilm e quelli dedicati alla “storia vera” sul set sono separati e alternati in maniera precisa, se vogliamo in maniera più netta rispetto alla versione filmica dove comunque i due flussi narrativi si intrecciavano quando Rick Dalton dimentica le battute e la troupe entra in campo scenico rompendo la quarta parete. Una firma di Tarantino per il suo “film sui film“, un genere a parte che ha trovato i suoi capolavori in 8 1/2 di Fellini ed Effetto notte di Truffaut.
CHARLES MANSON
6. Capitolo 11 – Il furgone. Viene esplorata maggiormente la figura di Charles Manson, e le motivazioni che lo portarono a introdursi di giorno nella casa di Sharon Tate, credendo fosse ancora quella di Terry Melcher. Il produttore musicale gli aveva dato buca a un appuntamento al ranch, così Manson decide di andarlo a stanare nella sua villa. Sharon sta facendo la valigia a Roman, il quale dovrà partire per l’Europa, e ascolta i cd dimenticati dal vecchio inquilino (proprio Melcher) senza accorgersi della presenza di Manson in giardino. Sarà Jay ad avvistarlo e ad allontanarlo. Ma prima di andar via e scambiare un saluto con Cliff a torso nudo sul tetto mentre ripara l’antenna, Manson si infila anche nel giardino di Don Altobelli, un agente di piccolo cabotaggio, nella vana speranza di entrare nel suo portafoglio clienti.
7. Capitolo 13 – Il dolce corpo di Deborah. Prima della famosa scena in cui Cliff manda al tappeto Kato / Bruce Lee del Calabrone Verde, sostiene un dialogo con Rick convincendolo che l’atleta di Hong Kong è solo un nano presuntuoso. Quando Cliff viene sconfitto nel primo round dal Piccolo Drago scopriamo che ha perso appositamente così da fare abbassare la guardia a Bruce Lee: così da scaraventarlo contro un auto nel match successivo. Se Bruce Lee era malvisto sui set proprio perché “accidentalmente” colpiva gli stuntman o altra gente della troupe, stavolta è Cliff a venire licenziato, soprattutto perché stavolta nessuno lo ha pagato in nero come ringer per dare una lezione a Lee. Da quel giorno Cliff smette di essere la controfigura onnipresente sui set di Rick, dall’amico percepirà un salario base per fargli da galoppino, ma soprattutto non avrà altra idea per la testa se non incontrare nuovamente Bruce Lee e ucciderlo in una rissa da strada. Quella del combattimento è una delle migliori sequenze scritte su pagina da Tarantino, oltre che fra le meglio dirette sullo schermo: nel romanzo però non si concentra su scenografia e costumi – perché chi ha visto il film ha ben presente i dettagli – ma unicamente su dialoghi e azione.

“PER GLI AMICI, PUSSYCAT”
8. Capitoli 15 – Missione compiuta & 16 – James Stacy. Un dialogo fra Rick e il regista Wanamaker, un dialogo fra James Stacy e Trudi Fraser, un dialogo fra Rick e James quando i due fanno conoscenza e in cui il secondo chiede se è vera una storiella ormai diventata leggenda nell’ambiente: se Rick era stato considerato ne La grande fuga per la parte poi andata a Steve McQueen.
9. Capitolo 19 – “Per gli amici, Pussycat“. Prima di dare un passaggio a Debra Joe alias Pussycat su Riverside Drive, Cliff si vede sfuggire l’occasione quando la “cavalletta” gli preferisce una Buick e allora Cliff temporeggia in un negozio di dischi dove compra un Tom Jones. In generale il discorso con Pussycat in auto, mentre si dirigono allo Spahn Movie Ranch, è ben più articolato, oltre che molto più bollente dal momento che non ci si sofferma soltanto su un paio di grossi piedi lerci poggiati sotto il parabrezza.
10. Capitolo 21 – La signora della casa. La sequenza in cui Cliff riaccompagna Pussycat allo Spahn Movie Ranch, fa visita al vecchio cieco e poi pesta uno scemo della Family per avergli bucato la ruota è raccontato da un diverso punto di vista… non da quello di Cliff, ma da quello di Squeaky da dentro la casa di George Spahn. Come se assistessimo al lato B di un cd, rivediamo certe scene da una prospettiva inedita: il motivo per cui gli hippie corrono giù dalle scale di casa mentre Rick le sta risalendo, il discorso fra Rick e George, mentre manca il pestaggio per la ruota perché Squeaky non ne è testimone.

IL PANTHEON DEI BEVITORI
11. Capitolo 23 – Il pantheon dei bevitori. Sul finire della giornata, Trudi saluta Rick chiedendogli in maniera insolente di imparare le battute per il giorno dopo: così piccola e così arrogante, convinta di vincere un Oscar in futuro. L’autore ci dice che ci andrà vicino ma non lo vincerà mai. Vale la pena riportare per intero l’estratto: “La sua unica nomination all’Oscar come miglio attrice protagonista arrivò per The Lady in Red di Quentin Tarantino, un film di gangster ambientato negli anni Trenta e tratto da una sceneggiatura di John Sayles già portata sullo schermo da Lewis Teague. Frazer interpretava Polly Frankline, l’ex prostituta di un bordello che diventava il capo di una banda di rapinatori di banche; accanto a lei c’era Michael Madsen nella parte di John Dillinger, il nemico pubblico numero uno. Quella volta dovette arrendersi a Hilary Swank, candidata per Boys Don’t Cry.“
Secondo questo ultimo riferimento il fantafilm sui gangster di Tarantino sarebbe quindi dovuto andare in sala nel 1999, e sappiamo per certo che uno dei suoi film mancati doveva per l’appunto essere un gangster movie ambientato all’epoca del proibizionismo. Nell’omonimo film di Teague, firmato davvero da Sayles, datatp 1979, Pamela Sue Martin è Polly Franklin e Robert Conrad è John Dillinger. Michael Madsen, attore feticcio di Tarantino sin dai tempi de Le iene, appare in un cammeo in C’era una volta a… Hollywood nella parte dello sceriffo in un episodio di Bounty Law.
Sempre nello stesso capitolo, al termine delle riprese, Rick e il nuovo collega Jim Stacy, in compagnia di un taciturno Cliff che lascia loro spazio, vanno a festeggiare al Drinker’s Hall of Fame, il pantheon dei bevitori: un locale frequentato da musicisti e attori di zona, allestito all’insegna della nostalgia sulla falsariga del Jack Rabbit Slim di Pulp Fiction, e che si appella al nume tutelare degli artisti rovinati dalla bottiglia. Come ad esempio Aldo Ray, protagonista di un duetto insieme a Cliff nel capitolo 22, scritto da Tarantino basandosi su quanto riportato nella biografia di David Carradine, il Bill di Kill Bill.

“UN AMLETO SEXY E MALVAGIO”
Jake Cahill, il pistolero buonista di Bounty Law interpretato da Rick Dalton, è ormai “roba passata“. I tempi che cambiano chiedono a Rick di diventare un “Amleto sexy e malvagio“: il cattivissimo Caleb di Lancer.
Nel film le scene di agosto con la Manson Family massacrata in casa di Rick sono l’epilogo di una storia in tre atti; il finale del terzo atto riguardava i due giorni di febbraio e sarebbe dovuta essere una telefonata fra Rick e Trudi. Una scena che ha commosso tutti durante le riprese, la preferita fra quelle girate da Leonardo Di Caprio, e che Tarantino ha dovuto tagliare per non incorrere nel rischio del “doppio finale”. Ma nel libro le cose vanno diversamente: non c’è spazio per l’epilogo di agosto (che, come abbiamo detto, è riassunto dallo scrittore a metà libro) e il finale viene demandato unicamente all’intensa telefonata fra Rick e Trudi che preparano insieme la loro scena clou di Lancer per il giorno dopo. Talmente intensa che persino la “vera” scena girata sul set (e vista nel film) non ha più senso.

CONCLUSIONI
La traduzione di Alberto Pezzotta riesce nella titanica impresa di restituire tutta la passione e il graffio di Tarantino. Violento e colto come Edward Bunker (lo scrittore ex galeotto ed ex iena), iconico come Elmore Leonard (da uno dei cui romanzi Tarantino aveva tratto Jackie Brown, unico suo adattamento in filmografia), C’era una volta a Hollywood è una storia che ne contiene molte altre come succede in tutte le sue sceneggiature.
La struttura a incastro dei libri di J. D. Salinger che ha sempre contraddistinto i film di Quentin Tarantino ritorna mischiandosi a un’altra sua cifra stilistica, i dialoghi losangelini alla Raymond Chandler.
Non solo per i fan, C’era una volta a Hollywood è un libro per chi ama la scrittura in tutte le sue forme. E con il quale Tarantino ci ha dimostrato quello che dice da sempre: di essere uno scrittore prima ancora che un regista.
Finito di leggere: sabato 10 luglio 2021.
Nel salutarvi, vi invito a leggere C’era una volta a Hollywood di Quentin Tarantino, e a tornare su questa pagina per dirmi cosa ne pensate.