CORRI di Roberto Di Sante
RIALZARSI
Aldo Amedei è un giornalista di successo che vive a Frascati con una giovane compagna, Teresa. Aldo è pigro, ma un volo giù dal quarto piano gli da l’occasione di riscrivere la sua vita e di affrontare una volta per tutte i demoni che lo perseguitano. E dall’inferno risale con un obiettivo per lui inedito: Central Park, l’ultima Thule dei maratoneti di tutto il mondo. Ed è con questo spunto in stile Momenti di trascurabile felicità (il film con Pif, non il libro di Francesco Piccolo) che comincia la gara di questa lettura molto particolare.

Edito per la collana ULTRA di Castelvecchi, Corri. Dall’inferno a Central Park di Roberto Di Sante è diventato un caso editoriale giunto alla terza ristampa. Un libro semi-autobiografico che ha segnato il riscatto di molti lettori i quali si sono rispecchiati nell’esperienza del personaggio-autore.
La gara di Amedeo prende piede dalla depressione e approda alla speranza, dalla disperazione al sogno: tutto passa attraverso il podismo e lo sport, ma quel che c’era prima di questa rottura rimane fuori campo, non interessa l’autore. Quel che vuole mostrarci Di Sante non è il prima ma il dopo: la via della redenzione, non del peccato. Per questo, fra gli altri, cita il mito assoluto del riscatto: Rocky Balboa.

“NON PERMETTERE MAI A NESSUNO DI DIRTI CHE NON SAI FARE QUALCOSA”
Aldo corre. All’inizio è scarso, poi affronta le prime mezze maratone, quindi la Roma-Ostia, e sulla soglia dei trenta chilometri accetta la sfida per la maratona di New York. E non si arrende mai, continua a correre, da Cortina a Roma, nonostante il suo coach Emanuele lo scoraggi nell’impresa… e ci torna in mente il discorso motivazionale che Will Smith fa al figlio nella scena simbolo de La ricerca della felicità.

Aldo, quindi, continua a correre anche nonostante le preoccupanti condizioni del menisco diagnosticate dal dott. Francesco Bianchi.
Aldo corre e non si arrende: a fargli da nume tutelare è l’inciso a inizio romanzo tratto da quell’ode ai viaggiatori che è Roadhouse Blues di Jim Morrison.
ROAD RUNNER

Ci colpiscono e intrattengono lungo il percorso tutta una sfilza di personaggi che l’eroe-corridore si porterà dietro a ogni corsa, fra magliette termiche e integratori. Le vite del personaggio e dell’autore sembrano sovrapporsi per l’appunto nelle descrizioni del goliardico cameratismo che viene a crearsi fra sconosciuti con una passione in comune: la corsa. Del resto il protagonista viene accolto dall’Atletica Tusculum che in brevissimo tempo diventerà la sua nuova famiglia. La biografia dell’autore Roberto di Sante riportata in quarta di copertina ci dù diverse indicazioni in tal senso: giornalista anche lui (per il Messaggero), non smette di correre dal 2013.
Il punto è che questa fratellanza fra corridori è sempre divertente, ma mai mostrata con distacco e vera ironia perché raccontati forse da “troppo dentro”: ed è questo forse il segreto che ha trasformato la prosa di Di Sante in un piccolo grande cult.

IL MARATONETA
La corsa di Aldo / Di Sante è verso quella maratona di New York che dal ponte di Verrazzano a Staten Island, passando per il Queens e la Quinta Strada, arriva sino a Central Park con l’Empire State Building. L’ultima sfida, l’ultima meta. Chilometro dopo chilometro (nel totale 42 chilometri e 195 metri) Aldo non incontra più persone reali ma i Re Magi e Humprey Bogart, sua nonna e Mosè: perché la più grande prova che un maratoneta deve superare non è fisica (e ci vuole tanta fatica per superare il calvario), ma è tutta mentale.

Non a caso se la narrazione è scandita da brevissimi capitoli non numerati, quello dedicato alla decisiva maratona di New York si intitola “La battaglia” ed è giustamente il più corposo per numero di pagine. Per vincere Aldo deve farsi supereroe, come quelli che cita a suo nipote traendoli da un vasto campionario di citazioni perlopiù cinematografiche e musicali. Ma non finisce qui e, senza spoilerare il termine della maratona, c’è ancora un ultimo sorprendente capitolo a congedarci: quello che davvero ci fa entrare nello spirito del vero maratoneta, colui che non vuole fermarsi alla meta ma trovare una meta sempre successiva…
CONCLUSIONI
Sono tante le intuizioni felici: la pistola dello starter che spara in aria mira in realtà ai mostri e agli incubi che ogni corridore affronta, il ricordo del padre scomparso che non fa sentire la fatica e quindi accorcia la distanza diventa perciò un gradito “passaggio” lungo il tragitto…
Tutte azzeccate sono le motivazioni alla corsa elencate l’una dopo l’altra in un unico capitolo, ma qui ne segnaliamo una per tutte: le anonime strade che percorri in macchina, quando le rifai a piedi diventano tute amanti…
Altri passaggi risultano invece meno incisivi: come il giovane nipote hipster e idolo di YouTube che decide di filmare l’impresa di Aldo e si presenta in casa sua con una telecamera nell’epoca degli smartphone. Peccato anche per l’eccessivo flusso di coscienza che la fa da padrone nella parte iniziale, confondendoci, ma non appena il romanzo prende il ritmo, diventa un’autentica corsa verso il gran finale.
Nel salutarvi, vi invito a leggere Corri. Dall’inferno a Central Park di Roberto Di Sante, e a tornare su questa pagina per dirmi cosa ne pensate.
Finito di leggere: venerdì 7 giugno 2019.