DISOBBEDIENZA libro vs film
Ringraziamo la redazione di Edizioni Nottetempo (che ha pubblicato Disobbedienza di Naomi Alderman in Italia) per la collaborazione e per averci messo a disposizione il volume qui di seguito esaminato.
DISOBBEDIENZA
Sappiamo bene chi sia Naomi Alderman – la “figlioccia” di Margaret Atwood – colei che ha raggiunto il successo planetario con Ragazze elettriche (distopico e femminista esattamente come Il racconto dell’ancella della sua “madrina”: leggi QUI la recensione). Dal momento che realizzeranno una serie TV da Ragazze elettriche (leggi QUI la recensione), sempre più spesso sentiremo parlare della Alderman. Quale migliore pretesto allora per riscoprire il suo esordio?
Disobbedienza, opera insignita di uno dei più prestigiosi premi della letteratura inglese – l’Orange Prize for New Writers – pubblicata per la prima volta nel 2007 e ristampata dieci anni dopo in occasione dell’uscita in sala dell’adattamento cinematografico (2017).

La storia è in parte autobiografica: la Alderman, come la protagonista Ronit, è cresciuta nella periferia londinese di Hendon a pane e teologia, e come lei dopo l’adolescenza si è trasferita a New York.
Nella finzione letteraria Ronit è costretta a tornare a Londra per partecipare al funerale del padre, il venerato Rav Krushka (il Rav è un titolo nettamente superiore a quello di rabbino); al contrario la Alderman, quando è tornata a New York, si è da allora per sempre fermata a vivere in Inghilterra. Seguendo forse il destino di un altro suo personaggio…
DISOBEDIENCE
La Ronit Krushka del romanzo è una donna in carriera, vive dunque a New York dove intrattiene a più riprese una relazione con il collega e capo Scott (lei rappresenta per l’uomo una relazione extraconiugale), e va in analisi dalla dott.ssa Feingold (una persona ebrea in analisi ci rimanda inevitabilmente all’immaginario di Woody Allen). La Ronit del film non è un’analista finanziaria ma una fotografa di successo nella Grande Mela. La interpreta Rachel Weisz, l’eroina de La mummia e Premio Oscar circa dieci anni prima per The Costant Gardener – La cospirazione: la sua rappresentazione di Ronit si pone su un versante meno ribelle e semmai più desolato rispetto all’originale.
La pellicola, Disobedience (2017), è diretta dal regista cileno Sebastiàn Lelio, già vincitore del Premio Oscar l’anno prima per Una donna fantastica con Daniela Vega – si tratta del primo film cileno e terzo sudamericano in assoluto a ottenere questo riconoscimento – lo stesso regista che l’anno successivo dirigerà il bellissimo Gloria Bell. Ora, però, un passo indietro…

STRUTTURA TRIPARTITA
Nel romanzo tre sono i personaggi principali, e così l’autrice opta per uno stile tripartito. Ciascun capitolo, per l’appunto, consiste in tre parti:
– la prima (brevissima) consiste in un commento o critica introduttiva alla citazione in calce tratta da recitati rituali, preghiere giornaliere, benedizioni e canti della Torah o studi similari;
– la seconda (scritta in terza persona) è il racconto “dal punto di vista” matrimoniale degli ebrei osservanti Esti e Dovid Kuperman, i due amici d’infanzia di Ronit rimasti nell’intransigente Hendon anche dopo la sua partenza. Esti è ancora segretamente innamorata di Ronit, la odia per essersene andata, ma nel fratemmpo ha sposato Dovid, da più parti alla sinagoga indicato come il successore del Rav perché diventi la nuova guida spirituale della comunità.

– la terza (scritta in prima persona) è il racconto “dal punto di vista” controcorrente di Ronit la quale, dopo la morte del padre, torna nella casa paterna a Londra e scopre, con grande sorpresa, come Esti e Dovid si siano sposati senza dirle nulla. Un flusso di coscienza veramente di rottura questo, a partire dall’aspetto grafico per il quale si sceglie il corsivo e un font diverso.
Solamente negli ultimi capitoli i due punti di vista – di Esti e Dovid / di Ronit – si alternano senza soluzione di continuità aumentando il ritmo (e la tensione) dell’ultimo atto.

L’ADDIO DEL RAV
Le pagine introduttive di ogni capitolo dedicate al Vecchio Testamento gettano perciò una luce diversa sul racconto che leggeremo di volta in volta. In una delle “critiche” conclusive viene detto che l’uomo-e-donna creati da Dio si pongono in bilico fra la chiarezza degli angeli e l’istinto delle bestie: a conti fatti il valore della nostra obbedienza si misura propria in base alla nostra volontà di disobbedienza. Taciuta quest’ultima parte, il passaggio su uomo-e-donna viene declamato nel prologo del film da Rav Krushka (Anton Lesser, per gli amici è Qyburn di Game of Thrones), un attimo prima di morire.

Nel romanzo la transizione del vecchio verso la morte è più lunga e passa attraverso le lunghe veglie di Dovid. Sta di fatto che nel film Ronit riceve la chiamata, lascia ogni cosa a New York (l’amante Scott viene sostituito da uno sconosciuto al bar con il quale consuma un fugace rapporto nei bagni pubblici, mentre non si fa alcuna menzione della dott.ssa Feingold) e prende un volo per Hendon, a nord-ovest di Londra (un quartiere, o meglio un paese, dentro Londra, in mano agli ebrei ortodossi).
Il primo che incontra è Dovid e, come avviene nel libro, dimentica delle vecchie usanze, Ronit prova ad abbracciarlo. Al contrario, Dovid si ritrae: non può toccare nessun’altra donna all’infuori di sua moglie. Ce lo fa capire benissimo l’interpretazione tormentata e dimessa di Alessandro Nivola, figlio di un sardo e di un’ebrea tedesca, premiato per questo ruolo come migliore attore non protagonista con il British Independent Film Awards. Rispetto al Dovid del romanzo, quello filmico è più sicuro di se: non ha crisi isteriche, non viene continuamente esortato dagli altri a prendersi le sue responsabilità, ma sa affrontare la comunità con piglio e lo vediamo istruire giovani fedeli della sinagoga che si rivolgono a lui con deferenza.

DUE DONNE
Allora, Ronit scopre che l’uomo si è maritato all’amica Esti, lo scopre in casa loro, sì: nel romanzo nel corso di una scena intima, nel film durante la lunga veglia diurna affollata di fedeli giunti a rendere omaggio al Rav. Esti, ora Kuperman, ha il volto remissivo e accigliato della canadese Rachel McAdams, all’epoca sulla cresta dell’onda dopo i successi di Doctor Strange e Il caso Spotlight per il quale aveva ottenuto la nomination all’Oscar. Rispetto alla sua controparte letteraria, risulta più divertita dalle spiazzanti uscite di Ronit e più incline a riprendere il “contatto” con l’amica.

Esti recupera una battuta del libro chiedendo subito a Ronit se sia stata con altre donne ma, come avviene nel libro, Ronit respinge ogni suo tentativo di riavvicinamento. Nella sceneggiatura di Rebecca Lenkiewicz si scopre che è stata Esti a chiamare la sinagoga a New York per avvisare Ronit della morte del Rav, peccato però che una delle rivelazioni più toccanti del libro (ovvero che sia stato il Rav a consigliarla, non potendo contrastare la sua natura “invertita”, a sposare un uomo mite come Dovid) sia qui liquidata con una battuta durante una passeggiata delle due donne.
Per un’associazione fatta sulla pagina scritta dalla stessa Esti, infatti, la donna rivede se stessa come Davide il grande re degli ebrei il quale, dopo aver perso Gionata che amava di un amore superiore a quello per le donne, ne sposò la sorella Michal pur non amandola. E Dovid Kuperman in effetti è stato un po’ un fratello per Ronit, il vero amore di Esti, poiché allevato sin da piccolo dal Rav.

UN AMORE
Spiace non vedere adattata la scena in cui l’emancipata Ronit confessa a tutti i commensali di essere lesbica. D’altro canto assistiamo a lei che, redarguita più volte, abbandona la cena a testa bassa. A “piegarla” è zio Moshe Hartog (nel romanzo non viene segnalata alcuna parentela con il presidente della sinagoga e l’uomo più ricco della comunità): lo stesso che aprirà il testamento del Rav rivelandole come la casa sia stata lasciata in eredità ai fedeli e la figlia può giusto raccattare i suoi affetti personali (nel libro non le usa simili cortesie, né Ronit pare nutrire un desiderio morboso verso il candelabro della madre).

Uno dei commentarii più belli a inizio capitolo è senz’altro quello dedicato alle malelingue, quindi associato alla scandalosa scoperta da parte di alcune fedeli dell’attrazione ravvivata tra Esti e Ronit. Un passaggio che ricorda quello dell’amore, nel caso di Didone nell’Eneide, e che qui si tramuta in una inarrestabile innaffiata di maldicenze. Nulla sarebbe possibile senza il contributo delle streghe (pettegole) di Hendon (come quelle di Eastwick): Nechama Tova, Devora Lipsitz e Hinda Rochel. Nel film, il fatto che Ronit non se ne salti fuori con un “sono lesbica”, è giustificato da un cambiamento importante nel background: tutti nella comunità sono al corrente del passato amoroso delle due donne.

La solitaria Esti, in un suo peregrinare per schiarirsi le idee, a bordo di un treno giunge a Camden Town. Quella periferia pericolosa che Peaky Blinders ci ha mostrato nella prima metà del ‘900 sotto il dominio del violento gangster religioso Alfie Solomons (una delle migliori interpretazioni di sempre di un imprevedibile Tom Hardy). Nel film Esti prende il treno insieme a Ronit, così le due si recano in un luogo appartato, in una camera a ore: qui le troviamo impegnate in una sequenza dall’alto tasso erotico con Esti, vestita di bianco, che prende in bocca “l’acqua della vita” direttamente dalla bocca di Ronit, vestita di nero.

UN UOMO
Così scrive in adolescenza Ronit (o Naomi per lei) subito dopo la prima esperienza ravvicinata con l’amica e compagna di scuola Esti: “più tardi a scuola avrei imparato che gli esseri umani sono animali elettrici, in cui scorre la corrente e ricordo di aver pensato: questa cosa la so già, questa cosa dell’elettricità l’ho imparata sulla mia pelle“. Insomma, Naomi Alderman le Ragazze elettriche ce le aveva in testa già da parecchio tempo, forse sin dall’infanzia.
Il giardino dove Esti e Ronit si baciarono la prima volta torna più volte nel corso del lungometraggio. Da quelle parti Ronit va alla ricerca di Esti quando la donna scompare, tutti sono preoccupati, ma lei ha solo preso un treno per stare in solitudine.

Se nella chiusa del libro il discorso emozionale che sfida i pregiudizi del microcosmo è affidato a Esti, una donna che per la prima volta lascia la galleria delle mogli e si rivolge a testa alta agli uomini, nel finale del film Dovid non fa questo passo indietro: come spiegato, l’abbiamo visto interpretato in una versione “più dura”, perciò il suo crollo avviene ora. Avviene quando si riallaccia al discorso iniziale del Rav su uomo-e-donna, e lo fa parlando parla in difesa dell’amore, del libero arbitrio e contro ogni sorta di pregiudizio.
L’epilogo, quindi, è affidato dalla regia a uno scatto conclusivo di Ronit, finalmente in pace con il suo passato, che immortala la terra dove è sepolto il padre.
CONCLUSIONI
Provocatorio e commovente insieme, Disobbedienza non è una storia d’amore, lo è semmai in quanto è la storia di un conflitto molteplice:
– conflitto tra una comunità legata alle tradizioni e una donna che ha abbracciato la modernità;
– conflitto coniugale, filiale e amicale;
– conflitto tra sessismo e omofobia (considerando che l’omosessualità femminile risulta sempre più spinosa da affrontare rispetto a quella maschile, eppure viene qui analizzata tramite l’intelligente ribaltamento di uno storico passaggio della Torah).

Chi risulta però veramente vincitore da tutte queste battaglie? Chi come Ronit si diverte a fare urlare allo scandalo gli abitanti di un mondo che non sopporta ma che si lascia tutto alle spalle tornandosene alla sua vita di New York, oppure chi come Esti ha sposato un uomo che non ama ma che la comprende e che grazie a lui riesce a restare nel suo mondo imponendo però il proprio modo di vedere le cose?
Abbiamo detto che l’autrice conosce bene il mondo che racconta: le descrizioni delle ritualità e delle usanze ebraiche sono dettagliate e solenni, ma più che limitarsi a ribaltare il sacro nel profano, Naomi Alderman indica la risoluzione ideale di questi molteplici conflitti nell’accettazione della propria natura.
Che si sia ebrei o gay non fa differenza quando è nella natura stessa delle persone. Semmai sono gli altri a doverci fare i conti.
Nel salutarvi, vi invito a leggere Disobbedienza di Naomi Alderman, e a tornare su questa pagina per dirmi cosa ne pensate.
Finito di leggere: domenica 15 dicembre 2019.