I TRE MOSCHETTIERI di Alexandre Dumas
Introduzione e premessa
Di solito le lunghissime introduzioni ai mattoni ottocenteschi sono noiosissime, non è il caso di quella firmata da Francesco Perfetti all’edizione Newton Compton di una delle più grandi opere di Alexandre Dumas, della letteratura francese e mondiale per quanto sottovalutato dalla cultura ufficiale al momento della pubblicazione a puntate sul quotidiano Le Siècle.
Nella premessa di Perfetti scopriamo che il titolo con il quale oggi conosciamo il feuilletton, I Tre Moschettieri, fu un’idea del responsabile della selezione mentre Dumas aveva optato per il fuorviante (c’è chi pensava si riferisse alle Parche) Athos, Porthos e Aramis. Dumas si ispirò al reale corpo dei moschettieri istituito nel 1622 da Luigi XIII e che contribuì a rendere praticamente arcinota con le loro casacche blu dalla croce argentata. Fu il suo collaboratore Auguste Maquet a ispirargli il romanzo mostrandogli le memorie apocrife del vero d’Artagnan, falso nobile ma autentico aristocratico e coraggioso spadaccino che la penna di Dumas rese un eroe immortale. Poi da qui inizia un’altra storia, quella in cui Maquet lo accuserà di avergli rubato l’idea e Dumas sarà costretto a corrispondergli il 25% dei diritti d’autore…

Prefazione
Questa edizione si fregia inoltre della commovente lettera introduttiva scritta da Alexandre Dumas figlio come prefazione alla edizione di lusso con incisioni originali di Maurice Leloir (già illustratore di Manon) de I Tre Moschettieri. E qualche lacrima ci strappa raccontandoci alcuni momenti (come gli ultimi giorni di vita) di quell’Alexandre Dumas padre la cui vita (avventuriero, amante, giornalista, garibaldino, ecc.), come si dice oggi, è stata larger than life.

Nella prefazione scritta di suo pugno, invece, Dumas non ha dubbi sul fatto che quest’opera andrà incontro al favore del pubblico e avrà un seguito. Facile dirlo con il senno di poi, ma di certo aveva avuto fegato e un pizzico di presunzione che non guasta mai… Salvo poi, come sappiamo, in punto di morte chiedere piangendo al figlio se di lui resterà veramente qualcosa per i posteri.
Avengers di Francia
La scrittura sempre ironica e poco clemente di Dumas ci introduce d’Artagnan, giovane guascone spiantato (e vero spavaldo ma eroico campagnolo dalla testa calda era Douglas Fairbanks nella trasposizione del 1921) come novello Don Chisciotte. Entra a Parigi in sella al suo ronzinante giallo, e con in tasca una lettera di raccomandazione scritta dal papà per il signor di Tréville, come lo chiamano a Parigi, o signor di Troisville come continuavano a chiamarlo in Guascogna, ovvero il responsabile del corpo dei moschettieri.

Il benefattore può far poco in realtà per l’umile ambizioso di cui condivide i natali, e la cui fretta porta a combinare tre simultanei duelli con i tre più inseparabili e imbattibili moschettieri. Primo: il misantropico, taciturno, ombroso, melanconico e incline al bere (scopriremo il perché con la storia di sua moglie) Athos. Secondo: il gigante vanesio e belligerante Porthos, amante del gioco al quale perde sempre tutto ma poi recupera tampinando la sua amante la procuratrice Coquenard (ammettiamolo, Porthos è sempre stato il più simpatico! – e Gérard Depardieu il miglior Porthos di sempre). Terzo: lo scuro ma effeminato, sfuggente Aramis (Charlie Sheen mai stato credibile nella parte) che sogna di diventare abate (e perciò spaccia discretamente le sue molti amanti per misteriosi teologi).

Avengers assemble!
Le insulse regole del tempo e meschini equivoci portano il pur rispettoso d’Artagnan a sguainare l’elsa contro i pur onorevoli tre avversari. E sempre impreviste circostanze li compattano contro un comune nemico di passaggio (che proibisce i duelli per strada). Ovvero le guardie di Sua Eminenza il cardinale Richelieu (più giovane e affascinante di tutte le sue controparti cinematografiche: Charlton Heston, Tim Curry, Christoph Waltz). È solo l’inizio di una serie di risse fra moschettieri (fedeli al re) e guardie (fedeli al cardinale). Faide che effettivamente al tempo creavano malumori e portarono allo scioglimento del Corpo. Dumas ne approfitta per unire d’Artagnan a questa cameratesca e anticardinalesca triade fino a conquistare grazie a eroismo e fedeltà le simpatie di Sua Maestà re Luigi XIII.

Il capitano di Treville, che agisce come il Nick Fury degli Avengers, non potendo subito arruolare d’Artagnan nella sua fidata schiera, lo fa assumere come cadetto nella compagnia delle guardie del signor capitano Des Essarts. Nonostante tutto, il trio si stringe intorno a lui e d’Artagnan detta la formula di questa marziale compagnia che, a leggerla per la prima volta, fa correre i brividi lungo la schiena: tutti per uno, uno per tutti! Che detta oggi suonerebbe: Avengers assemble!

Intrigo internazionale
I quattro amici sono pronti a dare la vita per il corpo, per il regno e per le donne. In particolare d’Artagnan, da ingenuo squattrinato si trasforma troppo presto in galantuomo insidiante. Dunque, pur di farsi come amante la merciaia Bonacieux moglie del suo proprietario di casa, si mette di mezzo nella tresca che la regina Anna d’Austria intrattiene con milord Georges Villiers duca di Buckingham (Paul W.S. Anderson ci ha visto giusto affidando la parte a Orlando Bloom).

Intrighi che si estendono fra due poli: uno è il Louvre, sede della corte dove il re non vede l’ora di beccare la moglie in fragrante ma lunatico crede ora al cardinale che gli strattona il mantello da questa parte e ora al capitano di Tréville che lo strattona da quest’altra parte. Il secondo polo ovviamente è la Bastiglia che diventa un viavai di gente condannata, torturata e scagionata a seconda di come gira il vento.
Bastardi senza gloria
Dopo il ratto della Bonacieux, tocca al recupero di certi puntali di diamanti che il re donò alla regina e la regina all’amante. La banda si stringe intorno a d’Artagnan durante la missione suicida in Inghilterra, dove i quattro e non tre moschettieri si portano appresso i loro altrettanto quattro domestici dimenticati da sempre nella storia della letteratura: Planchet, Grimaud, Mousqueton e Bazin. Dumas ce li aveva lungamente descritti ciascuno insieme al proprio padrone e al loro alloggio in una digressione veramente fuori luogo (almeno per oggi!) rispetto all’incalzante ritmo del racconto.
In pratica i quattro, o meglio gli otto, rischiano di rimetterci le penne contro gli uomini di monsignor Richelieu e del suo spietato braccio destro con tanto di cicatrice, il conte Rochefort (ritratto sempre con volti cattivissimi, da Christopher Lee a Mads Mikkelsen) che aveva prematuramente e malauguratamente incrociato a Meung il suo cammino con quello di d’Artagnan.

Mexican stand-off
D’Artagnan è l’unico a farcela (arriva a interrompere la battuta di caccia di Re Carlo al parco di Windsor) ma poi torna indietro a cercare i suoi compagni creduti morti. Per fortuna sono tutti sopravvissuti grazie al loro indicibile valore ma la cui testardaggine e propensione al vizio arroccano in certe trappole più o meno mondane. Il mexican stand-off che blocca poi d’Artagnan e un manipolo di inglesi sulle scalinate della cantina dove si è barricato Athos insieme al suo domestico ricordano tanto da vicino l’identico stallo alla messicana nell’osteria di Inglorious Basterds.

Dumas è certamente ripetitivo nella sua stancante aneddotica su questi gagliardi combinaguai al limite del fastidioso ma li salva sempre un attimo prima di farceli apparire antipatici. Se prima una semplice battuta preparava il terreno a mortali duelli, ora è proprio quell’insulso apostrofassi e strapparsi confidenze che mostra la nuova amicizia dei quattro e fa sentire il lettore parte del gruppo. Una banda di giovani poco lungimiranti e poco avari che dall’avere una fortuna in saccoccia si ritrovano dall’oggi al domani senza il becco di un quattrino. Per questo non sanno come provvedere all’equipaggiamento personale nell’imminente campagna militare del primo maggio.

La donna in rosso
O seduta sul cuscino rosso: Milady o lady Clarick (per noi Faye Dunaway rimane migliore di Milla Jovovich), l’inglese per cui d’Artagnan perde la testa (mentre disgraziatamente la domestica Ketty la perde proprio per d’Artagnan). La donna è impelagata in loschi affari con il conte di Warden già affrontato dal moschettiere alle porte di Londra. Antesignana di una sfilza di donne doppiogiochiste culminata con la Margot di Lupin III, Milady si rivelerà essere la ex moglie (ladra e perciò impiccata) del maturo Athos (al secolo conte La Fère) che da quel giorno ha cominciato a vedere miseria dovunque.

D’Artagnan si ravvede e tenta di raggirare la Milady al soldo di Richelieu, come Vesper Lynd era sul libro paga di Blofeld. E sa tanto di Spectre l’organizzazione spionistica di cui il cardinale muove le fila in Francia e in Inghilterra, compilando e conservando incartamenti ricattatori su ogni uomo (d’Artagnan, il duca di Buckingham, ecc.) come fossero gli archivi segreti custoditi nella gobba di Giulio Andreotti. E’ tutto un via vai di minacce, trappole, lettere che è meglio distruggere e parole che è meglio imparare a memoria piuttosto che scriverle, proprio come nei giochi di spie.

Quando anche muta lo scenario metropolitano/notturno di Parigi e comincia l’assedio della protestante/calvinista La Rochelle (scuse politico/religiose nascondono i bisticci amorosi far i due spasimanti di Anna d’Austria, il duca inglese e il cardinale francese) i quattro moschettieri in trasferta dividono ogni cosa: cibo, vino, domestici, soldi e successi. Difatti d’Artagnan scampa a ben due attentati di Milady in territorio nemico (prima schioppettate, poi per avvelenamento). Quindi compie imprese sì gloriose da meritarsi la tanto agognata promozione a moschettiere… Ma anche aumenta il numero e la potenza dei suoi nemici.

Horror
Le ultime sequenze del romanzo sono interamente dedicate alla missione di Milady in Inghilterra per conto del cardinale. Diventa lei la protagonista, questa bellissima donna dai mille volti, anzitutto presa prigioniera dal barone Winter (messo in allerta da una tempestiva lettera di d’Artagnan) per aver eliminato suo fratello Lord e incamerato l’eredità. Una lunga prigionia che non le impedisce di usare la sua lingua biforcuta per raggirare il fanatico John Felton, giovane braccio destro di Lord Winter, in modo da garantirsi la fuga e al contempo assicurare l’assassinio del duca di Buckingham ponendo fine alla battaglia di La Rochelle.

La proverbiale goccia che fa traboccare il vaso sarà la vendetta personale su d’Artagnan, nel momento in cui scopre che la sua amata Costanza Bonacieux si nasconde al convento delle Carmelitane di Béthune (sotto la protezione della signora Chevreuse, l’amante segreta di Aramis) e l’avvelena. Nonostante tutte le sue malefatte e la mancanza di ravvedimento, un po’ ci dispiace non appena i quattro moschettieri più un paio di loschi alleati mettono le mani su di lei. Infine, la processano sommariamente e la giustiziano sulle rive del Lys. Il boia è scelto fra le sue prime vittime, un individuo mascherato e con il mantello rosso che di notte sul fiume fa venire i brividi non meno del Jason Voorhees di Venerdì 13.

Conclusioni
Finale dolce-amaro per d’Artagnan che si vede morire fra le braccia la sua bella. E, pur pronto alla morte, ottiene dal grande nemico Richelieu la promozione a tenente dei moschettieri.
L’epilogo ci racconta come i destini dei quattro si dividano, ma di come prosegue il rapporto di amicizia-inimicizia fra d’Artagnan e il cavaliere Rochefort. Cioé con l’uomo di Meung, il primo vero rivale e che in questa storia l’ha fatta franca.
L’opera è profonda (ma non ai livelli de Il conte di Montecristo: leggi QUI la recensione), avvincente (come una soap opera, ed è chiaramente una nota di merito) e sadica (perché combina sapientemente il profondo con l’avvincente). 400 pagine e rotte che tutti divorerebbero eccetto i più giovani (esistono versioni condensate e accorciate per l’occasione). Allegro trionfo della vivacità ed espressione massima del genere cappa e spada che ha consacrato a leggenda le figure dei moschettieri e i valori immortali che ancora oggi rivivono nelle numerose rappresentazioni cinematografiche e televisive, cartoni animati e musical ad essa ispirati.

Merito fondamentale lo si trova proprio nella appassionante vita di Dumas, specchio di un po’ tutte le psicologie dei suoi personaggi: paterno come Athos, tormentato come Aramis, vizioso come Porthos, avventuriero come d’Artagnan… e tutti per uno!