KAFKA SULLA SPIAGGIA di Haruki Murakami
IMPRESSIONISMO
Lo diciamo senza mezzi termini, Kafka sulla spiaggia (2002) è un capolavoro di evocazione impressionista a qualsiasi livello lo si voglia considerare. Non so se sia il caso di leggerlo in originale, purtroppo non conosco il giapponese. Al termine della lettura di questo “irreale” (o “irrazionale”) racconto di formazione strambo e dolce, me ne è venuta voglia.

Nonostante il glossario in fondo al volume, la nota iniziale del traduttore Giorgio Amitrano ci informa di avere utilizzato il sistema Hepburn per la trascrizione dei nomi giapponesi: le vocali si leggono in italiano e le consonanti come in inglese. Questo è forse il compromesso più felice per immergerci in una delle opere più ambiziose e più amate di Haruki Murakami, e perciò anche una delle opere più odiate di sempre.
STORIE
Inizialmente la storia si spezza su tre differenti archi narrativi: due ambientati nel presente, uno nel passato.

Prima storia. Scritta in prima persona e al tempo presente. Un giovane di Tokyo che non ha mai conosciuto la madre e la sorella ma che ha sempre vissuto insieme al padre assente, il giorno del suo quindicesimo compleanno ruba i soldi dalla scrivania del genitore e scappa di casa. Si nasconde sotto lo pseudonimo di Tamura Kafka: Tamura è il nome vero, Kafka quello inventato in omaggio allo scrittore; tra quelli scritti da Franz Kafka, quello preferito da Tamura è Nella colonia penale, nel quale l’autore spiega benissimo la nostra condizione esistenziale senza mai parlarne direttamente, che è un po’ quello che succede a un adolescente (sa di star cambiando, ma non sa esprimerlo a parole). Inoltre “Kafka” in ceco si traduce come “Corvo” e Tamura si sente proprio così, come un corvo solitario.
IL RAGAZZO CORVO

Negli anni precedenti la sua “latitanza” programmata, Tamura non ha fatto altro che addestrarsi: allenamento fisico, digiuno, pulizie domestiche, camminate che non destino sospetti, training da campeggio, istruzione basica, sottrazione a qualsiasi tipo di meccanismo fotografico, ecc. La motivazione gliel’ha invece data il suo amico immaginario, il ragazzo Corvo – guarda caso – le cui parole sono rimarcate da un significativo grassetto. Il ruolo del ragazzo Corvo non è dissimile da quello del coro nelle tragedie greche, alle quali comincia ad appassionarsi lo stesso Tamura.
Tamura Kafka fugge da Tokyo verso la provincia di Takamatsu: lungo il viaggio fa la conoscenza della giovane Sakura e infine trova lavoro come inserviente presso la Biblioteca Komura (proprietà di una ricca famiglia di collezionisti). Qui stabilitosi, verrà accudito da due nuove figure genitoriali: l’emofilo signor Oshima (un giovane “diversamente perfetto” come lo è Ranma 1/2) e la direttrice della biblioteca la signora Saeki, ex cantante di successo con il brano Kafka sulla spiaggia – da qui il titolo del romanzo – e con la morte nel cuore. Di Kafka sulla spiaggia esiste anche un quadro: per la signora Saeki, Kafka è lo pseudonimo di un ragazzo che amò tanti anni fa e che perse. Kafka come lo pseudonimo del ragazzo, e quindi la coincidenza ha il sapore di un riavvicinamento universale come nel mito di Aristofane.

L’UOMO CHE PARLAVA AI GATTI
Seconda storia. Scritta in terza persona e al tempo passato. Nakata è un signore analfabeta e amante dell’anguilla cotta; Nakata ha qualche rotella in meno secondo i parametri umani ma è in grado di parlare con i gatti, a differenza delle “persone comuni”. Pertanto Nakata percepisce un sussidio di disabilità dal governatore e arrotonda recuperando i gatti smarriti. Il suo segmento narrativo si sviluppa come una magica detective story, dove Nakata è l’inusuale private eye che ha a che fare con gatti reticenti, femme fatale (la signora Mimì, una felina che ha preso il suo nome da una famosa area di Puccini), feroci cani guardaspalle, pedinamenti, appostamenti e abboccamenti. Un’atmosfera da anime anni ‘80 con stravaganti gatti parlanti che ci portano più dalle parti di Doreamon, Kiss Me Licia e Lamu piuttosto che da quelle dei film animati di Miyazaki.

Il “giallo” cambia totalmente registro quando (SPOILER ALERT) Nakata perde il dono di colloquiare con i gatti dopo essere stato costretto a uccidere Johnnie Walker, un demoniaco kami che aveva assunto l’aspetto iconografico dell’omino stampato sull’omonimo whiskie. Segnaliamo, a proposito di kami, che uno dei più noti simboli dello shintoismo e del Giappone in generale è Maneki neko, il Gatto della fortuna, la creatura che viene per salvare qualcuno: nella nostra interpretazione Nakata ne è una diretta manifestazione terrena.

In fuga dalla polizia dopo essere diventato un assassino, partito verso una destinazione ignota, Nakata conosce il camionista Hoshino, un fedele ma non particolarmente brillante compagno di viaggio agghindato con berretto sportivo, coda di cavallo e improbabili camicie hawaiane. Nakata non parla più con i gatti, però scopre di saper far piovere pesci “a comando”.

L’UNIVERSO DEI KAMI
Intanto un nuovo kami (stavolta benevolo) si mette sulla sua strada: stavolta assume l’aspetto del colonnello Sanders, rubato dall’iconografia del Kentucky Fried Chicken, e incrocia il cammino di Hoshino anziché quello di Nakata. Secondo lo shintoismo, non di rado persone illustri, eroi e antenati, se adorati post mortem, diventano kami: in questo romanzo sono quindi ben due icone dell’imperialismo statunitense a venire deificate in maniera sarcastica da Murakami. Inoltre lo shintoismo non ha dogmi, nessun kami è considerato più santo di altri, anzi colleziona rituali e metodi (come quelli cinesi), così da sopravvivere nei millenni: nulla vieta quindi che con il tempo abbia potuto appropriarsi di alcune usanze americane. Se il colonnello Sanders è una divinità delle strade e dei sentieri, Johnnie Walker è senz’altro un demone.

Terza storia. Una sezione reportistica nel corso della quale vengono esaminati documenti secretati e rapporti epistolari relativi al misterioso svenimento di una classe di bambini in gita scolastica nella prefettura di Yamanashi durante la Seconda Guerra Mondiale. Questa linea temporale terminerà abbastanza presto in favore di un montaggio alternato, quasi cinematografico, tra i primi due blocchi narrativi. Non sveliamo in che modo questa terza “storia” si dissolva all’interno di una delle prime due per lasciare il gusto della scoperta al piacere della lettura.

In questa coincidenza di iperboli e paradossi dove circostanze da sogno incrociano una parallela dimensione reale, e dove le logiche temporali si fanno esse stesse irrazionali, non tutto verrà spiegato, o meglio non tutto emergerà sino allo stato della coscienza.
REALISMO MAGICO
Abbiamo parlato di kami e di shintoismo. Adesso parliamo di realismo magico: in questo genere non-genere, per quanto non-inquadrabile, possiamo inserire il favoloso mondo di Kafka sulla spiaggia. “Nei sogni comincia la responsabilità”, dice Yeats e Murakami lo cita testualmente criticando per esempio il grigiore burocratico dei nazisti: non possedevano immaginazione, per questo uccidevano irresponsabilmente.

Nella scrittura di Murakami, al contrario, convergono musica alta e musica intesa bassa in quanto popolare (da una parte Beethoven e dall’altra Prince) così come convergono cinema alto e cinema “basso” (da una parte Francois Truffaut e dall’altra Indiana Jones). Non solo, in questo mix postmoderno convergono pittura, poesia, libri vecchi e nuovi, filosofia ottocentesca e tragedia greca, suspense da romanzo mystery, umorismo, esasperazioni sessuali rubate di peso dalla profezia di Edipo, e diventano un unico flusso visionario di maledizioni e simboli, sesso, scene cruente e tenere, astrazioni introspettive come il miglior David Lynch… Questo insieme lo chiameremo Tesi.

ANTITESI
Una Tesi moderna che “esce fuori da sé” e si proietta su una Antitesi antica, quella delle tradizioni religiose giapponesi, e nella fattispecie dello shintoismo. Shintoista è il santuario dove Tamura Kafka perde la memoria la notte in cui viene ucciso suo padre, un santuario shintoista è quello dove il signor Hoshino recupera l’agognata “pietra dell’apertura”. Scritta anche “scintoismo”, questa religione (a dispetto del nome cinese) nativa del Giappone (perché quella buddista è di successiva importazione) è detta animista perché prevede l’adorazione dei kami: questi possono essere divinità oppure spiriti naturali. Proprio questa mitologia ben definita legata ai kami, connota lo shintoismo come una religione politeista (oltre che cosmica: tutto il cosmo e una manifestazione del divino) con tratti sciamanici.

Lo shintoismo di Murakami non ha niente a che fare con quello Imperiale, settario e di Stato. Semmai, attraverso le sue riflessioni sull’importanza della famiglia e sulla sacralità della natura, fonde la corrente templare (fondata sul culto all’interno dei templi jinja, a loro volta radunati sotto il manto della Chiesa Shintoista) con quella popolare (mai canonizzata e sempre in divenire). In un paio di passaggi del romanzo, il signor Oshima conduce il giovane Kafka in un rifugio in montagna dove il ragazzo può purificarsi semplicemente entrando in contatto con la natura (per lo shintoismo la natura è la prima forma dell’entità divina) mentre il luogo di culto ufficiale vicino alla città dove Hoshino rinviene la pietra offre una via per trasformare la venerazione da pubblica a domestica.
SINTESI
Le entità spiritiche che popolano l’universo, ossia gli spiriti detti kami che si esprimono attraverso la natura, obbediscono all’eterno ciclo dell’esistenza, non sono né buoni né cattivi, semplicemente conducono da uno stato all’altro dell’esistenza. Murakami sottolinea però che alcuni posso essere positivi (come il fantasma di una quindicenne Saeki sognato nottetempo dalla cinquantenne Saeki) e altri negativi se animati da un forte dolore. Allo stesso modo, anche lo spirito umano è eterno, così dopo una la morte cambia forma accedendo a un livello esistenziale superiore: il Kafka amato in passato da Saeki è il giovane Kafka di oggi? La madre del Kafka di oggi è la signora Saeki del passato?
Alla fine di questa dialettica intesa in senso hegeliano, la Tesi popolare, rinata nell’Antitesi shintoista, “ritorna in sé” come Sintesi complessa e naturale allo stesso tempo. Che in fondo è lo stile stesso della scrittura di Murakami: profonda e semplice allo stesso tempo.

CONCLUSIONI
Emozionante come Norvegian Wood, ma con il pregio della fantasia di Dance Dance Dance (leggi QUI la recensione), Kafka sulla spiaggia è una lettura che strega. Possiamo forse rimproverargli di eccedere nel finale nel metaforico fiabesco nel momento in cui la narrazione si fa stravagante esattamente come alcuni dei personaggi che porta in scena. Nonostante le oltre 500 paginea volte oniriche altre volte dal pietismo ridondante (il chiaro di luna sulla foresta, ecc.), Kafka sulla spiaggia è un libro che strega, punto.
Nel salutarvi, vi invito a leggere Kafka sulla spiaggia di Haruki Murakami, e a tornare su questa pagina per dirmi cosa ne pensate.
Finito di leggere: martedì 4 febbraio 2020.