LA FOSSA DEI LUPI di Ben Pastor

LA FOSSA DEI LUPI di Ben Pastor

IL SEQUEL CHE NON TI ASPETTI

Tra le serie principali di Ben Pastor, scrittrice italiana naturalizzata americana, ci sono quella del soldato-detective Martin Bora (leggi QUI la recensione di Luna bugiarda) e i gialli con protagonista Elio Sparziano, storico e investigatore del IV secolo d.C. Fuori da questo ciclo è il romanzo La fossa dei lupi, immaginato come sequel de I promessi sposi di Alessandro Manzoni. Un’impresa coraggiosa, non da tutti, e che la Pastor ha affrontato scrivendo prima in inglese e poi supervisionando la traduzione nella lingua italiana.

Nel novembre del 1628, a tre anni di distanza dall’inizio delle (dis)avventure che tutti conosciamo, Renzo e Lucia sono economicamente sistemati, in attesa di un figlio, mentre Milano si rialza dopo i disastri della peste. Ma nel momento in cui il loro persecutore pentito, Francesco Bernardino Visconti al secolo l’Innominato, o ancora Conte del Sagrato, viene assassinato nei monti sopra Lecco, tutto cambia. Chi aveva interesse a eliminarlo? Il sempre impulsivo Renzo, il pavido Don Abbondio o qualcuno che tramava vendetta per le antiche malefatte mai perdonate? Potrebbe darsi Cesare Trussi, erede dei defunti Don Rodrigo de’ Candiani e suo cugino Don Attilio (Trussi), oppure Inzaghi, figlio naturale proprio di Visconti. Forse qualcuno non vuole davvero che il mistero venga risolto.

Tutti, dentro e fuori Milano, sono sospettati dell’eccellente omicidio, almeno secondo il giovane luogotenente di giustizia Diego Antonio de Olivares, al quale lo Stato italo-spagnolo ha affidato l’indagine. Milanese (è Arconati da parte di madre) che si sente anzitutto spagnolo, per natura diviso in due: uomo d’azione e di riflessione. Non solo, Olivares è combattuto da un conflitto fra carne e spirito: da una parte l’amore a portata di mano (l’anticonformista, elusiva e affascinante Donna Polissena de’ Stampi, studiosa e vedova di Don Ottaviano Gallarati) e dall’altra una vita religiosa e il martirio in terre lontane (ha in sospeso un voto da gesuita, come già la sorella Sibilla detta Suor Cattarina, inoltre suo confessore è Fray Pizzarro, figlio di quell’omonimo conquistatore delle Americhe).

La fossa dei lupi_Libri Senza Gloria
La fossa dei lupi_Libri Senza Gloria

CHI ERA COSTUI?

La prima battuta del voluminoso libro, “Antonio Rivolta, chi era costui?“, richiama direttamente la prima battuta del romanzo originale: “Carneade, chi era costui?“. Allora, pronunciata da Don Abbondio a testimonianza della sua limitata cultura, oggi ripresa in forma diversa dal poliziotto che subito risolve il mistero: Antonio Rivolta è il nome fittizio un tempo adoperato da Lorenzo o Renzo Tramaglino, oggi filatore di seta e imprenditore. Nonostante tutti i sospetti che, come sempre, si tira addosso, Renzo suscita però anche una istintiva simpatia in Olivares, il “nuovo” protagonista della vicenda.

Ogni capitolo (diviso a sua volta in diversi paragrafi che segnalano brevi salti temporali) è introdotto in epigrafe da una citazione diretta de I promessi sposi. L’indagine va dai primi di marzo ai primi di luglio dello stesso anno, prendendosi tutto il tempo necessario a far emergere la verità. Dopo l’epilogo e i ringraziamenti viene il glossario di tutte le lingue e i dialetti utilizzati (catalano, latino, lombardo, tedesco e spagnolo).

Olivares è assistito dai tre bargelli di giustizia Monti, Carnaghi e Colombo, e si avvale dei servigi del capitano Grauenbart, già ufficiale nelle Corazze Tedesche di Ottavio Piccolomini (l’importante comandante delle truppe imperiali durante la guerra dei trent’anni). Si discute ancora della peste del 1630, si ha ancora paura del contagio, sembriamo noi appena usciti dalla pandemia di COVID-19, soprattutto nelle descrizioni che l’autrice fa del Lazzaretto Grande, non ancora chiuso perché il Ducato non lo ha ancora dichiarato totalmente libero dalla peste.

Tra tutte le possibili chiavi di “rilettura” per un sequel del romanzo storico per eccellenza della cultura italiana, Pastor sceglie quella più congeniale a lei del giallo, mischiato al romanzo in costume. Ci muoviamo dai fetidi bassifondi di Milano, tra attentati e miracoli veri o falsi (tra queste atmosfere cupe non c’è spazio alcuno per la Provvidenza, se non sotto forma di giustizia poetica), alle strade che portano al confine veneto. Ritrovando vecchi personaggi (dai “bravi” restati senza impiego alla Monaca di Monza rimasta coinvolta in un caso criminale) ma conoscendone anche di nuovi (come Galeazzo Arconati cugino di Olivares, il banchiere milanese Mazzoleni e Salazar capitano della Terra di Monza).

FUOR DI METAFORA

Il Visconti, nobiluono redento e già fuorilegge, è stato ucciso in un luogo impervio detto “fossa dei lupi“, dove appunto si tendono le trappole a questi animali feroci. Il fatto che la zona sia “una terra di lupi” viene sfruttato dall’autrice in senso letterale e metaforico, proprio come Emilio Salgari faceva con le sue molteplici tigri. Nonostante l’Innominato si fosse convertito a opera del cardinal Federigo Borromeo arcivescovo di Milano (presente con un cammeo), qualcuno bisbiglia “il lupo perde il pelo ma non il vizio“. Così gli ex bravi di don Rodrigo (Mazzafame e Bon Sargento – questi due sono gli esecutori materiali del rapimento di Lucia -, Dragone e Nìgola) sono descritti come “i lupi a fine inverno“, e fisicamente “avevano facce lunghe da lupi“, con sguardi feroci: dopo aver lasciato il loro padrone a morire “solo come un cane” erano diventati “una muta senza collare“. Olivares è pronto a seguire “le tracce da lupi” anche se queste dovessero condurlo agli scalini delle chiese dove magari sono “travestiti da agnelli”.

La pista lo conduce difatti nel paese di Olate nella Begamasca, dove anzitutto interroga il parroco dei Santi Vitale e Valeria chiamato Abbondio come il patrono di Como, di cognome Romanò. La scrittura potente e ironica di Ben Pastor dà prova di grande fedeltà ai personaggi manzoniani, e li fa rivivere come se non li avessimo mai abbandonati. Carattere ben noto, Don Abbondio punta il dito contro gli sgherri disoccupati dell’Innominato (che egli chiamava “i miei lupi“), nel cui ravvedimento non crede (“sarebbe come sentir belare un lupo“), e poi contro Renzo, al quale non ha ancora perdonato di avergli complicato la vita in passato.

Sono “tempi da lupi” anche per Renzo Tramaglino e Lucia Mondella. Li ritroviamo a vivere con la madre di lei, la coriacea vedova Agnese, che pare voglia nuovamente ammogliarsi con un soldato del Terzo Lombardo, tale Hieronimo Armanasco detto Apostoli (per via delle fiaschette di polvere da sparo che gli archibugieri indossano a bandoliera).

Nel gioco delle vendette e contro-vendette, bisogna stare vigili: “non c’è lupo sulla faccia della terra che non sbrani chi ha attaccato uno del branco“.

CONCLUSIONI

Il Manzoni aveva modificato il nome della nobile suora passata alla memoria come “Monaca di Monza” così da non creare un falso avendo posdatato la sua storia di circa un quarto di secolo. Ben Pastor, la cui ricostruzione dell’insieme è grandiosa, si è attenuta alla finzione manzoniana per quanto riguarda l’episodio storico di Suor Virginia ma ha preferito mantenere i nomi originali, dunque non Gertrude ma Marianna de Leyva (il nome che portava prima di prendere il velo), non Egidio ma Gian Paolo Osio. Ecco, avremmo sicuramente voluto trascorrere più tempo con l’ambigua maestra delle educande di Santa Margherita e, se non fosse già deceduto, anche con Azzeccagarbugli.

Se ci si aspettava forse da La fossa dei lupi un romanzo corale incentrato sui personaggi, la scelta di virare verso il noir è presto spiegata. Anzitutto, giudicata impossibile la missione di ricreare un affresco come quello che l’aveva preceduto, è stata saggia l’idea di trovare un nuovo investigatore (perfettamente architettato) che possa addirittura tornare per nuovi casi (e chissà che in questo ciclo non lo seguano ancora i personaggi manzoniani). Ma soprattutto… tutti gli stranoti protagonisti, pur qualche anno dopo e in seguito alle peripezie che li hanno uniti o disuniti, rimangono gli stessi: Don Abbondio il solito codardo manipolatore, Renzo la solita testa calda dal buon cuore e Lucia la solita paurosa “acqua cheta” che nulla smuove. E così allora anche i personaggi più oscuri, vivi o morti, continuano sempre loro a macchiarsi dei crimini più abietti.

Un’intuizione che sembra facile ma cui si arriva solo grazie a una grande maestria narrativa. Quella che ti fa sbrogliare l’intricatissima matassa, al contempo presentandoti risposte che non immaginavi di conoscere già.

Finito di leggere: venerdì 29 novembre 2024.

Nel salutarvi vi invito a leggere La fossa dei lupi di Ben Pastor, ultimo appuntamento della nostra rassegna, e a tornare su questa pagina per dirmi cosa ne pensate.

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