LA VIA MELIESIANA di AA.VV.
INCIPIT
Ogni amante, o studente, di cinema ha nel proprio scaffale i quattro volumi della Storia del cinema italiano scritta da Gian Piero Brunetta. Non solo professore ordinario di Storia e critica del cinema presso l’Università di Padova, Brunetta è stato anche insegnante di Linguaggio del cinema nella Scuola Galileiana di Studi Superiori dal 2006 al 2009. I migliori saggi (quattordici) dei suoi studenti vengono raccolti in questo particolare volume pubblicato da Esedra Editrice. Le dissertazioni sono disposte in ordine storiografico, ciascuno termina con autonome bibliografie e filmografie (poi tutte riepilogate nell’Indice dei nomi finale) e non lesinano riferimenti agli scritti di Brunetta. Vediamoli nel dettaglio.

MUTO
“Il primo cinema e l’identità nazionale italiana” di Angelo Matteo Cagliotti specchia fra loro due film apparentemente molto diversi. Il primo è La presa di Roma – 20 settembre 1870 (1905) di Albertini Filoteo, ossia quello che è considerato il primo vero film italiano a livello d’importanza industriale: pellicola proiettata a Porta Pia nell’anniversario dell’evento culminante del Risorgimento italiano. Non documentario, ma esempio di “attualità ricostruita” che fa il pari con il secondo film nell’ottica della nazionalizzazione delle masse: il film di finzione Il piccolo garibaldino (1909) della CINES (stessa casa di produzione del primo, ma una volta che aveva cambiato nome).
FUTURISTI
In “Cinema cinematografico e percezione del mondo”, Pellegrino Favuzzi (il cui nome è in quarta di copertina insieme a quello di Brunetta; nell’anno della pubblicazione era dottorando in Storia della filosofia presso la summenzionata Università) propone una nuova lettura del manifesto “La cinematografia futurista” firmato nel 1916 da Filippo Tommaso Marinetti e dagli altri illustri esponenti della corrente artistica. Se prima il cinema era inteso profondamente passatista, loro ne vedono le potenzialità in ottica futurista e distinguono fra il cinema tradizionale e cinema puro cinematografico. L’autore dà un esempio con la stranota transizione metaforica dell’occhio tagliato in Un chien andalou di Luis Buñuel.

TEMPI MODERNI
Partendo da quella corrente di formalisti russi che eleva il cinema a linguaggio e approdando alla Teoria generale del montaggio di Ėjzenštejn (il regista sovietico di Ottobre e La corazzata Potëmkin), “Lo spettatore non indifferente” di Lucia Oliveri afferma come al centro di questo linguaggio ci sia sempre e soltanto l’uomo. Il riferimento in chiusura al montaggio in Charlie Chaplin dà il là al saggio successivo: “Il sorriso della monella”. Luca Anoè analizza tutti i maggiori film di Charlie Chaplin dall’ultimo film muto (Tempi moderni) agli ultimi della carriera: scandaglia la malinconia e la solitudine di Charlot fino a scoprire la bellezza della semplicità.

FASCISMO
In “La nascita di un regime sul grande schermo” Vanessa Ferrari attraversa la cinematografia del ventennio fascista: dalla fase “rurale” a quella di “borghesizzazione” fino a quella di “conquista del mondo“. Che siano documentari oppure opere di finzione, il regime preferisce pellicole in linea con l’ideologia piuttosto che apertamente propagandistiche. Dal documentario A Noi di Umberto Paradisi a Il grido dell’aquila di Mario Volpe (entrambi del 1923), dove si evince la volontà di riallacciarsi alla tradizione risorgimentale, agli anni ’30 di Camicia Nera di Gioacchino Forzano (che si dice scritto insieme allo stesso Mussolini) fino all’insuccesso (ma “sinceramente fascista“) Vecchia Guardia di Alessandro Blasetti perché si rifaceva allo squadrismo recente piuttosto che ai fasti dell’impero romano.
PUNTI DI VISTA

Il cosiddetto genere Olocausto viene scandagliato nei diversi linguaggi di rappresentazione da Laura Fede in “La Shoah al cinema”. Oltre lo spettacolo hollywoodiano di Schindler’s List (1993) e la non-rappresentabilità di Shoah (1985) ci sono il registro favolistico de La vita è bella (e quello filtrato dagli occhi dei bambini), la spersonalizzazione di Kapò (1959) e fra i molti esempi ovviamente Il pianista (2002).

Interessante il percorso sulla gnoseologia che Carlotta Rinaldo opera nel suo contribuito: dalla letteratura di Luigi Pirandello (Così è (se vi pare)) al Rashomon (1950) del più internazionale (o occidentale) dei registi giapponesi, Akira Kurosawa, con un precedente in Quarto potere (1941).
PASOLINI
La poetica di Pier Paolo Pasolini viene approfondita in ben due testi. Il primo è il “confronto tematico” che Eleonora Sartori effettua fra l’autore e Padre David Maria Turoldo (anche lui firma di molteplici linguaggi e autore di un unico film dal titolo Gli Ultimi) secondo due direttive: il legame con la terra friulana e il rapporto con la madre.

Il secondo opera un’indagine sulla “espressione linguistica nell’opera cinematografica”: in particolare Anna Mulcan si serve dei tre film comici che hanno visto collaborare insieme Pasolini e Totò e nello specifico Uccellacci e uccellini (1966), La Terra vista dalla Luna (episodio del film collettivo Le streghe, 1967) e Che cosa sono le nuvole? (episodio del film collettivo Capriccio all’italiana, 1967). L’abilità da comico provetto di Totò di sostituire parole con significante simile ma dal significato diverso, di intercalare onomatopee, di storpiare parole straniere e il resto del suo repertorio, combinata alla sceneggiatura di Pasolini raggiunge risultati sorprendenti. Lode alla Mulcan anche per la puntigliosa indagine linguistica nella totale filmografia del principe clown.
WESTERN + SHAKESPEARE

Il western americano in tutte le sue salse è quello che ripercorre Stefano Marcuzzi: genere che risulta “espressione di una nazione”, lo sviluppo del western (dalla mitizzazione alla disgregazione) ha sempre specchiato l’evolversi della società americana. Da John Ford a Kevin Kostner sino agli ultimi simil-western, il saggio è molto dettagliato e offre numerosi spunti di riflessione (fra i quali una rassegna cinematografica sul generale Custer).
Per certi versi simile è la carrellata sulle avanguardie americane compiuta in “Per ‘intervalla insaniae‘ da Giulia Bonasio.

Beatrice Mameli imbastisce invece una rassegna su “Amleto al cinema”: quelli (volutamente) in bianco e nero di Laurence Olivier (Hamlet, 1948) e di Grigorij Kozincev (Gamlet, 1964), quello spettacolare di Franco Zeffirelli con la star Mel Gibson (Hamlet, 1990) e quello sontuoso di Kenneth Branagh (Hamlet, 1996).
POST-MODERNO

Ancora echi pirandelliani rintraccia Angela Paschini nella precisa autopsia che esegue di quello che da più parti è considerato il capolavoro del secolo, Mulholland Drive (2001) di David Lynch.Ancora più nel dettaglio va Martina Manfrin che scompone, citazione dopo citazione, il perfetto simbolo dell’Avant-pop in “Kill Bill, pastiche où tout se tient” dedicato al dittico tarantiniano del revenge movie.

CONCLUSIONI
Non è un caso che in copertina ci sia la stranota immagine di Viaggio nella luna (1902) di George Méliès.
La cosa più attraente di questa raccolta è sicuramente il fatto che ciascuno studioso non è principalmente studente di cinema. Il “movente” che ha mosso la ricerca di ognuno, e le naturali e diverse inclinazioni dei rispettivi autori, apportano effettivamente contributi nuovi e diversi ad argomenti finora noti ma esclusivamente in chiave prettamente cinematografica.
Nel salutarvi, vi invito a leggere La via mélièsiana di AA.VV., e a tornare su questa pagina per dirmi cosa ne pensate.
Finito di leggere: lunedì 21 gennaio 2019.