L’ASSASSINIO DEL COMMENDATORE. LIBRO SECONDO di Haruki Murakami
STORIA DEL LIBRO SECONDO
Il sottotitolo del libro secondo de L’assassinio del Commendatore è “Metafore che si trasformano” e si compone di trentadue capitoli, esattamente come il precedente, ricominciando la numerazione proprio dal capitolo trentatreesimo per arrivare al conclusivo, il sessantaquattresimo. Ancora una volta, ciascun capitolo assume per titolo una delle frasi salienti contenute in esso. La sensazione appunto è quella di leggere un unico romanzo diviso in due, e non due diversi romanzi.
Torna il nostro io narrante senza tratti distintivi (come la sua curiosa amante senza nome, del resto), ma delineato con le giuste pennellate, incompiuto come i quadri che lui stesso dipinge, e che fino alla fine di questo viaggio introspettivo (attenzione spoiler) rimarrà tale e quale. Egli è un individuo solitario, astratto dal tempo e dallo spazio come tutti i protagonisti di Haruki Murakami, tutti adatti a percorrere le strane pieghe dell’onirico che lo scrittore progetta per loro.

DALL’IDEA ALLA METAFORA
Nel primo libro il protagonista era impegnato nel ritratto di Menshiki, camaleontico vicino di casa che si occupa di operazioni di cambio e compravendita di azioni via web. Adesso la storia ruota intorno al ritratto che il pittore deve realizzare di Akikawa Marie, studentessa tredicenne del corso di disegno, e che Menshiki sospetta essere la sua figlia illegittima.

L’ossessione del pittore per la misteriosa tela L’assassinio del Commendatore ritrovata nel controsoffitto non si è però placata: il quadro nasconde e manifesta un trauma passato del suo autore, Amada Tomohiko (sappiamo che visse a Vienna durante i fatti dell’Anschluss), come il nuovo quadro L’uomo con la Subaru Forester bianca rappresenta un trauma recente del protagonista e che per questo nell’atelier tiene rivolto verso la parete.
Torna pure il Commendatore, la metafora “fisica” sbucata dalla fossa nera vicino casa: qui si specifica che ogni idea è un concetto, ma non tutti i concetti sono idee. Il Commendatore viene eletto a guida virgiliana, e insieme al protagonista riproduce dal vivo la scena rappresentata ne L’assassinio del Commendatore e lo fa nell’istituto per anziani davanti agli occhi del lì ricoverato Amanda Tomohiko, vero autore del dipinto. Al termine di questa messa in scena il pittore uccide il Commendatore o meglio l’idea che egli rappresenta: a quel punto un’altra idea, Faccialunga (ennesimo personaggio del succitato quadro), apre una botola spuntando dal pavimento come Bugs Bunny. Quello è il ponte di collegamento dal pensionato di Amada fino al mondo sotterraneo dell’iperuranio. Una dimensione parallela a metà fra il Paese delle Meraviglie di Alice e un allucinogeno inferno dantesco, dove si manifestano tutti i personaggi de L’assassinio del Commendatore, compresa Donna Anna, tutti alti tre spanne, comunque non più di sessanta centimetri, e all’occorrenza possono sanguinare (come il Commendatore prima di schiattare).

FUOR DI METAFORA
Nel mondo delle metafore non esistono tempo e temperatura, fa sempre buio, ma un buio assoluto, senza lontani barlumi, le figure senza volto parlano per enigmi, tutto è metafora compreso il fiume e l’acqua che si beve, ma le doppie metafore sono le più insidiose, proprio come l’uomo con la Subaru Forester bianca incontrato due volte nella prefettura di Miyagi.
Questo è un regno delle correlazioni dove sono le mosse del personaggio a generare risposte pertinenti. Passo dopo passo il protagonista impara a distorcere le regole gravitazionali come Michael Jordan nel finale di Space Jam, a mutare le sue stesse coordinate fisiche e concrete come in Fuga dal mondo dei sogni, fino a superare gli stessi limiti del corpo e dell’esistenza come il Maggiore in Ghost in the Shell. Purtroppo, a dirla tutta, la tanto attesa sequenza surreale risulta essere anche la più noiosa. Ma è anche il momento in cui Murakami affronta direttamente la sua ossessione per i fantasmi del tempo.

CONCLUSIONI
I riferimenti nella scrittura alla cultura europea e ai marchi industriali in qualche modo accomunano l’autore Murakami al personaggio creativo Tomohiko ma in senso inverso: dove Tomohiko ha abbondonato espressioni occidentali per tornare a quelle nipponiche, Murakami a un certo punto ha abbracciato forme d’arte più globali, cosa per la quale è stato spesso criticato. Eppure pensiamo che la fusione di stili in Murakami trova giustificazione nel senso ultimo de L’assassinio del Commendatore: l’arte, per certi versi, e comunque mai in maniera assoluta, può aiutare a combattere i traumi del passato, come ad esempio la responsabilità del mondo occidentale nell’avere appunto influenzato quello orientale.
Questo rende L’assassinio del Commendatore un’opera ambiziosa, e forse per questo un’opera non perfettamente riuscita.
Finito di leggere: martedì 27 aprile 2021.
Nel salutarvi, vi invito a leggere L’assassinio del Commendatore. Libro Secondo di Haruki Murakami, e a tornare su questa pagina per dirmi cosa ne pensate.
ALTRO: L’assassinio del Commendatore. Libro Primo di Haruki Murakami.