IL CONTE DI MONTECRISTO di Alexandre Dumas vs KILL BILL
Le prove del matrimonio
Non è stato durante il matrimonio, ma durante il pranzo di fidanzamento che gli hanno rovinato la vita. Dopo lunghi anni di attesa e di preparazione, ritornerà per vendicarsi dei suoi nemici.
I cattivi non fanno più squadra, si sono divisi: alcuni sono stati fortunati, altri meno, alcuni si sono pentiti e altri per niente. Li cercherà, li stanerà e li affronterà uno ad uno, dal pesce più piccolo al più grande. Scorrendo la sua Death List, lascerà per ultimo il cattivo più importante e più malvagio.

Non è la storia di Kill Bill, è la storia de Il Conte di Montecristo. Il debito di Quentin Tarantino nei confronti di Alexander Dumas è innegabile, e non è un caso che il genio di Knoxville citi l’autore francese in una delle più curiose conversazioni di Django Unchained.
Il protagonista di Montecristo, Edmond Dantès, da giovane sprovveduto e marinaio di belle speranze, cade in disgrazia. Dovrà attraversare tutte le tappe obbligate nel viaggio di un eroe (anni prima che venissero canonizzate da Christian Vogler) per ottenere la sua vendetta che, si sa, è un piatto che va servito freddo (vecchio proverbio Klingon).
Il viaggio dell’eroe
Edmond trova il suo mentore nell’abate Faria che, come nella più classica delle tradizioni, è un po’ matto (almeno per gli altri). Faria addestra Edmond e lo instrada verso il grande viaggio. Lo attendono un’avventura e un tesoro oltre il Castello d’If. L’evasione e il tuffo in mare rappresentano il vero spartiacque fra il secondo e il terzo atto, a circa 150 pagine dall’inizio. Lungo il suo viaggio Edmond affronta prove di vario genere, incontra amici (l’armatore Pierre Morrell) e nemici (la Death List si compie). E, forse, avrà la sua vendetta.
Alcune situazioni, e persino vocaboli, sono ripetuti all’eccesso, giusto per allungare la minestra. Senza bisogno di voltare pagina, a volte la fine del capitolo è “telefonata” dal frettoloso riepilogo che fa l’autore sulla sorte dei personaggi. Entrambi gli stratagemmi (quello della ripetizione e quello del riepilogo) sono obbligati nella scrittura “a puntate” da fuelletton. In questo Dumas, papà non solo dell’altro Dumas ma di tutti gli showrunner moderni, è maestro: sa bene come dilatare le attese, come creare la suspense, e soprattutto come umiliare i suoi personaggi per infine farli trionfare (Il trono di spade ringrazia).
A chi contesta a Dumas che avrebbe potuto scrivere Il Conte di Montecristo in molte meno pagine, si risponde che sarebbero state senz’altro meno belle.
L’eroe diventa Dio
Insomma, dopo l’evasione, pensiamo che Edmond farà presto piazza pulita dei suoi nemici. Invece no, perché, come dice lui stesso, la vendetta va meditata. Va lentamente somministrata per ricompensare chi l’ha fatto soffrire. Insomma, va servita fredda (il proverbio Klingon di cui sopra). Un semplice delitto sarebbe per il carnefice solo una vendetta senza alcun godimento.
Se la trilogia di Matrix era interessante nel suo primo episodio finché Neo non è diventato Dio, e lo era meno nei seguiti in cui il protagonista è già Dio, Dumas prevede tutto ciò e prende le distanze da Edmond perché, una volta scoperto il tesoro e divenuto Conte, si è fatto pressappoco Dio. Pertanto Dumas decide di rimanere su una prospettiva “bassa”, e sceglie quella di due damerini francesi in visita a Roma.
Una città, Roma, che lo scrittore ha amato profondamente. Due damerini, Albert e Franz, usati unicamente per introdurci attraverso i loro occhi meravigliati alle nuove strepitose fattezze di Edmond. Adesso egli è ricco e potente, ed ecco che si dispiega il piano della vendetta.
La Death List di Montecristo
Il Conte di Montecristo, senza mai rivelare la sua vera identità, trova il primo e più piccolo dei nemici. Si traveste da abate, ovvero come il suo mentore, per fare da mentore a terzi. Concede il perdono a Gaspard Caderousse sottoforma di diamante. Esattamente come la Sposa concede una tregua a Vernita Green, la più debole dei suoi avversari in Kill Bill.
Quello stesso diamante sarà causa della sciagura di un uomo che, per quanto faccia di tutto per cambiare, dentro di sé coltiverà sempre il Male. Così anche Vernita, nonostante tutto, trova la morte. Muore, tra l’altro, in un flashback che in qualche modo ci ricorda l’ellisse temporale nel quale si scopre la sorte di Caderousse.

Molti anni dopo Caderousse rifiuta la collaborazione della Provvidenza, ovvero di Montecristo e dei suoi mille travestimenti. Questo piccolo nemico mure tragicamente riconoscendo finalmente il volto di colui che tanti anni prima aveva tradito: il giovane Edmond! E soprattutto riconoscendo nel suo volto quello di Dio. Come Vernita, che ha avuto la sua occasione e l’ha sprecata, così muore Caderousse. Questi è emblema della Pigrizia, la stessa che ieri non gli ha fatto muovere un dito per difendere Edmond, e che oggi gli impedisce di seguire la via del riscatto.
Caderousse muore con un nome sussurrato nell’orecchio. Un nome che noi non udiamo ma che conosciamo. E mentre muore leggiamo il pensiero di Montecristo: (Fuori) Uno! L’emozione di leggere questa battuta è più forte di quella suscitata dalla Sposa quando traccia via il nome di Vernita Green dalla sua Death List.

Caderaousse funge anche un po’ da Sofie Fatale. Infatti è a lui che il nostro vendicatore strappa (con l’inganno piuttosto che con la tortura) tutte le informazioni sui suoi nemici.

La vendetta è un piatto che va servito freddo
Dopo quel primo incontro fra lo sfortunato Caderousse e l’abate/Montecristo, la scena si sposta a Parigi. Fra damerini, mademoiselles, e madames si intrecciano le vite dei figli e dei nipoti di coloro che ebbero una parte nel dramma di Dantès. Solo che stavolta sarà Dantès, grazie ad un piano che più machiavellico non c’è, ad essere l’autore dei loro drammi.
Per riuscire, Montecristo ha adottato mille travestimenti: dallo spadaccino Zacconi al viaggiatore Sindbad il marinaio passando per Lord Wilmore. Tanti gliene servivano per mascherare i suoi mille odi. Basti pensare a come questo giovane idealista sia diventato uno stratega senza scrupoli che fa tagliare la lingua ad Alì solo perché gli interessava avere uno schiavo muto. Basti pensare a come induca in tentazione le persone ad esempio suggerendo il disastroso matrimonio con il fittizio Principe Cavalcanti.
Quindi, in uno dei momenti più drammatici, arriva la sorpresa. Solo Madame Mercedes, l’antica fidanzata di Edmond, lo ha riconosciuto. Va da lui e lo supplica di risparmiare suo figlio in duello. Infine, è solo lei che lo convince a desistere dalla sua vendetta. Come la Sposa, ritrovata la figlia che credeva perduta, desiste momentaneamente dal suo piano di vendetta contro Bill.

Dio diventa Cristo
Questo è il momento in cui torniamo ad immedesimarci veramente in Montecristo. Quando trascorre una notte di pene in stile Innominato perché Mercedes (questa Madonna, difatti divenuta Madame) lo fa smettere di essere Dio e lo fa tornare ad essere Cristo. Egli è pronto per amore ad immolarsi nell’estremo sacrificio.
Montecristo ha deciso di farsi uccidere in duello da un nemico inferiore a lui per forze, abilità e astuzia: il damerino Albert, figlio di Mercedes. Albert meriterebbe di morire per le colpe del padre. E per tutelare il cui nome egli stesso ha richiesto il mortale duello. In poche parole questo è il principio del terzo atto: tutto va a rotoli, ma allo stesso tempo abbiamo la certezza che nelle ultime pagine tutto tornerà al proprio posto.
Eccoci alla seconda vittima: il Conte di Morcef ovvero Ferdinando, antico rivale in amore di Edmond. In passato gli ha rubato la fidanzata Mercedes, l’ha sposata, e ha pure conquistato il titolo nobiliare per mezzo di un ignobile complotto. Morcef è l’unico che, disonorato da Montecristo, si darà da solo la morte, in quanto egli è emblema dell’Orgoglio come Caderaousse lo è della Pigrizia. Anche Budd di Kill Bill, sporco e corrotto pure lui nell’anima, si era pentito delle sue malefatte, ma era tutt’altro che arrendevole.

Perduta ogni fortuna e ogni possibilità di maritarsi, ad Albert non rimane altra scelta che arruolarsi per far carriera nell’esercito. Segue la carriera del padre, ma stavolta senza inganni e tradimenti. Si discosta dal modello genitoriale allo scopo di riabilitare il nome della propria famiglia.
Non si piange sul latte versato
Andiamo alla terza vittima sulla lista. Gérard de Villefort, l’emblema della Bramosia, a differenza degli altri nemici non provava alcuna invidia o astio particolare nei confronti di Edmond. Se in qualità di Procuratore lo fece condannare al carcere a vita, è stato unicamente per tutelare il buon nome della sua famiglia. Romanzo d’appendice, certo, con qualche stoccata al sistema giudiziario dell’epoca. Soprattutto se si pensa che Dumas si è ispirato ad una storia realmente accaduta per scrivere questo romanzo.
Come medita il Conte, al suo ritorno in patria, di punire Gérard de Villefort? Facendo onore più che mai al suo cognome. Il richiamo alla Divina Commedia non poteva qui essere più evidente e Dantés punisce de Villefort per contrappasso. Fa venire a galla tutti i crimini della sua famiglia: i delitti fra le mura domestiche, il tradimento della moglie, il neonato illegittimo presto seppellito e che ritorna in pompa magna. Villefort non muore, ma letteralmente impazzisce.
Occhio per occhio
Non ricorda forse Elle Driver, l’unica dei nemici della Sposa a non morire? Pensateci:
- grazie alla condanna a Dantés, de Villefort venne insignito della Legion d’Onore. Elle era risalita nelle grazie di Bill dopo aver tolto di mezzo la sua diretta rivale, in guerra come in amore, ossia la Sposa;
- Elle agiva usando, tra le altre armi, il veleno: il serpente Black Mamba che morse Budd e ancor prima il veleno nel riso che uccise Pai Mei. Ed è il veleno che Montecristo mette nelle mani di Madame de Villefort per portare la morte in casa del suo nemico;
- come Villefort per Montecristo, Elle Driver è l’unica fra i nemici della Sposa a non morire ma ad essere punita per contrappasso. Le viene strappato il secondo occhio dalla Sposa per vendicare la morte del suo maestro Pai Mei, proprio colui che strappò a Driver il primo occhio.

L’immensa strategia di Montecristo come angelo vendicatore lo ha visto compiere piccole mosse: la lettera anonima dove si denuncia il tradimento del Conte di Morcef in Grecia, il veleno consegnato a Madame de Villefort, il credito e i prestiti presso la banca di Danglars, ecc. Piccole ma significative mosse fino ad innescare precise e implacabili reazioni a catena. Queste conseguenze, inglobando tutti gli imprevisti del caso, finiscono sempre per sanzionare i colpevoli con la massima delle pene.
Big fish
Una scrittura audace se si pensa che la figlia del milionario Danglars è più attratta dalle donne, con le quali fugge, che non dagli uomini. Una scrittura incalzante che ci conduce per mano lungo un periodo storico che comincia dall’esilio di Bonaparte all’Elba e arriva fin quasi all’impero di Napoleone III.
La narrazione si fa più movimentata nelle ultimissime pagine. Qui si consuma il faccia a faccia con il massimo colpevole: Danglars, l’emblema della Cupidigia, colui dal cui desiderio di successo è scaturito ogni male, cioè Bill. Danglars, rinchiuso nelle grotte prigioni di Luigi Vampa (il brigante romano legato al Conte di Montecristo da stima, rispetto e affari) trova, unico fra tutti, perché sinceramente pentito, il perdono di Montecristo. Pure la Sposa avrebbe perdonato Bill, se quello non ci avesse provato ancora fino all’ultimo ad ammazzarla.
Dio non è poi tanto malvagio, né con le vittime né con gli aguzzini, e il suo piano ha trovato degno compimento. Ogni conto è regolato.

Nelle pagine conclusive, la vittoria di Montecristo è ironica. La vittoria di chi ha colpito e di chi ha perdonato. Ma anche di chi non potrà mai più avere indietro ciò che ha perduto. Perché allora vendicare? Perché Montecristo sarebbe impazzito se, alla fine della sua vendetta, senza più un affetto (il padre), un amico (l’armatore del Pharaon da cui ogni sfortuna ebbe inizio) e un amore (Mercedes, ridotta ora in miseria nella casa originaria di Marsiglia), non avesse trovato l’amore in due giovani.
Conclusioni
Il felice idillio giovanile di Edmond si rispecchia oggi nella coppia composta da Maximilien, figlio del suo benevolo armatore, e Valentine, figlia del terribile ex Sostituto Procuratore del Re Villefort. Due giovani innamorati che ricordano a Montecristo la sua adolescenza e la cui relazione egli stesso prima ha rischiato di distruggere e poi ha contribuito a glorificare.
L’happy end è la perfetta chiusa della lunga epica. Lunga perché a Dumas pagavano le pagine che scriveva, e guarda che ne è venuto fuori: mercenario! – metà delle attuali pagine e il gioco sarebbe comunque fatto. La lunga epica di un uomo colpito ingiustamente dai potenti (plot tuttora attuale, si veda House of Cards) e che avrà la sua vendetta in questo mondo. Come? Seguendo il mantra del Novecento e delle nostre migliori serie tv: la conquista del potere!
Attenzione: dell’opera esiste una versione censurata tradotta da tal Franceschini che epura le scene più violente e i riferimenti religiosi. Dal canto suo, Quentin Tarantino si è autocensurato colorando di bianco e nero le scene più sanguinose del suo film, forse con ciò pagando inconsapevolmente il suo ultimo tributo ad Alexandre Dumas.

Nel salutarvi, vi invito a leggere Il Conte di Montecristo di Alexandre Dumas, a vedere Kill Bill Vol.1 e Kill Bill Vol.2 di Quentin Tarantino, e a tornare su questa pagina per dirmi cosa ne pensate.
Finito di leggere: lunedì 11 Dicembre 2017.