Tutto si può dire di Dan Brown, tranne che non padroneggi il proprio mestiere.
Nelle due pagine semi bianche che aprono Origin, l’ultima avventura letteraria (la quinta per l’esattezza) di Robert Langdon, la prima è una citazione di Joseph Campbell (il cui L’eroe dai mille volti ha ispirato Il viaggio dell’eroe di Christopher Vogler, più volte citato su queste pagine, che a sua volta ha ispirato il primo Star Wars di George Lucas).
La seconda è la dichiarazione rovesciata secondo la quale ogni riferimento a persone o cose “non è puramente casuale” (tanto per cavalcare l’assopita aura di scandalo che aveva circonfuso Il codice da Vinci).
Il copione è sempre lo stesso. Non è una nota di demerito. Ripeto, Dan Brown padroneggia perfettamente il proprio mestiere. Sa come funziona il romanzo di genere mystery-adventure da lui coniato, ne conosce ogni singolo ingrediente e sa bene come miscelarli.
Per ingraziarci Joseph Campbell e per ripetere noi stessi l’identica mossa di ritorno alle origini di Dan Brown, usiamo il linguaggio delle fiabe per parlare della sua ultima fatica letteraria.
1. Il re (parte I)
C’è sempre un personaggio istrionico e ambiguo che dà il via all’azione. Il re di Origin è Edmond Kirsch: guru techno-nerd, milionario eccentrico e ateista, playboy vagamente camp e persino vegano, specializzato in futurologia, che non si rinchiude più in uno scantinato come ne La rivincita dei nerds ma che va in giro a braccetto con la top model di turno.
Mark Rylance è James Halliday
Come molti altri geni eccentrici, Edmond conserva sempre qualcosa di nostalgico del proprio passato (lì dove tutto è cominciato: le origini): Robert Langdon indossa ancora l’orologio di Topolino della sua infanzia, Edmond Kirsch invece tien ancora con sé il primissimo computer mai ricevuto (e qui il collegamento è diretto con Halliday, il miliardario inventore di OASIS in Ready Player One: leggi la recensione di Libri Senza Gloria).
Edmond ricorda in parte il folle e facoltoso genetista Bertrand Zobrist che aveva dato del filo da torcere a Langdon in Inferno (2013). Soprattutto si rifà ai nerd hipster, ricchi e un tantino alienati lanciati da Zuckenberg e perfettamente incarnati dal Lex Luthor di Jesse Eisenberg (già volto di Zuckenberg in The Social Network) per Batman v Superman: Dawn of Justice.
Jesse Eisenberg è Lex Luthor
1. Il re (parte II)
Edmond è stato il miglior allievo di Robert, non sorprende dunque che la sua mente funzioni, come quella del maestro, per “slide”. Esattamente come la scrittura di Dan Brown: una sequenza di slide semplificate al massimo per una scolaresca di liceali distratti, ma ben disposte con l’obiettivo di raggiungere un’escalation di tensione vertiginosa. Se Robert rappresenta il vecchio sapere, Edmond è il nuovo sapere: non solo dicotomia fra arte classica e arte moderna, ma anche nel modo stesso di presente l’arte.
Se agli inizi de Il codice da Vinci (2003), Robert si affida alle buone vecchie slide per promuovere il suo libro Sacred Feminine, in Origin Edmond aggiorna il powerpoint al 3.0 e la sua presentazione è un’assurda simulazione virtuale e sensoriale totalmente immersiva. Prima conclusione: le parole poco contano, per quanto autorevoli, in una cultura dell’immagine come è la nostra.
Nota a margine: Dan Brown si concede della sana ironia autobiografica quando, commentando il successo di Sacred Feminine a firma di Langdon, sostiene che sia diventato un successo grazie alle accuse ricevute dal Vaticano e dal mondo cattolico. Praticamente la storia editoriale del suo Il codice da Vinci.
2. Il cavaliere
Più di Robert, Edmond è uno showman. Più di loro due messi insieme, lo è Dan Brown. Sarebbe meglio dire: uno showriter.
Dan Brown veste come Robert Langdon
All’inizio del romanzo, Edmond preannuncia al mondo la sua scoperta leggendaria: non fa che mettere l’accento sulla sua importanza e, man mano che si avvicina la rivelazione, rimanda sempre un pò più in là il momento cruciale. Ovvero aumenta la curiosità ma al contempo aumenta le aspettative e il rischio che tutto si risolva in un grande bluff.
Rischio non minore corre la tecnica non meno affabulatoria di Dan Brown che posticipa all’infinito la scioccate rivelazione di Edmond, curandosi bene però di pomparla al massimo e di far ruotare ogni singolo evento intorno a questa scoperta dall’impatto copernicano. Con queste premesse, se ci deluderà, può spingere il lettore ad abbandonare immediatamente la lettura.
Si tratta dell’ennesimo MacGuffin ma sovraccaricato di una portata letteralmente universale che astutamente, e anche prevedibilmente, Dan Brown risolve, almeno in un primo tempo, con un diversivo alla Omicidio in diretta, da aggiornarsi anch’esso in un 3.0 Omicidio in streaming.
Quando il re viene ucciso, entra in gioco il cavaliere della storia: Robert Langdon.
Nicolas Cage e Carla Gugino
3. Il drago
La longa manus omicida delle alte sfere si incarna stavolta nell’ammiraglio Luis Avila, lacerato da una tragedia famigliare e in cerca di vendetta (leggi Il conte di Montecristo di Alexandre Dumas vs Kill Bill). Il suo fanatismo ricorda alla lontana quello più tenace di Silas ne Il codice da Vinci, grazie alla cui appassionata interpretazione Paul Beattany si è meritato la parte dell’altrettanto stralunato androide Visione nella saga degli Avengers.
Paul Bettany è Silas
Purtroppo Avila non raggiunge neppure la grandezza di Mal’akh, il più grande cattivo creato da Langdon e suo avversario nell’unico altro romanzo della serie non ancora adattato per il grande schermo (Il simbolo perduto, 2009) perché effettivamente il meno cinematografico (ma anche l’unico romanzo che tira direttamente in ballo la Massoneria).
Dopo aver fatto fuori il re, Avila tenta di ammazzare il cavaliere Langdon inseguendolo da una città all’altra e tenendo sotto ricatto un autista Uber come fatto da Tom Cruise in Collateral.
Come in tutte le fiabe che si rispettino, il drago è solo la manifestazione in prima linea del vero malvagio. Ossia colui che scaglia gli incantesimi e il cui cuore brama potere e non brilla certo per generosità. I sospetti vanno dal vescovo Valdespino al Re di Spagna, ma la vera identità dello stregone (qui un fantomatico Reggente) ci viene celata fino all’ultimo.
Tom Cruise e Jamie Foxx in Collateral
4. La principessa
Audrey Tautou è Sophie Neveu
A ogni avventura il caso (non chiamatelo Dio) mette di fianco al professor Langdon una fanciulla bella e coraggiosa (ovvero in grado di trascinare il riluttante Langdon nel cuore dell’avventura), dotata di expertise strettamente legata all’oggetto del desiderio del romanzo.
Ayelet Zurer è Vittoria Vetra
Ne Il codice da VinciSophie Neveu è una crittologa della Polizia Francese, in Angeli e demoni (2000) Vittoria Vetra è una scienziata italiana, ne Il simbolo perdutoKatherine Solomon è una esperta di noetica, in InfernoSienna Brooks è una dottoressa che si prende cura dell’eroe.
Questa volta la principessa in pericolo, così distante dalle eroine d’azione cui siamo abituati dalla Katniss Everdeen di Hunger Games in poi, e quindi figlia di un mondo vecchio, è Ambra Vidal, direttrice del Museo Guggenheim di Bilbao e promessa sposa, stavolta sì, di un principe: Juliàn, futuro Re di Spagna.
Felicity Jones è Sienna Brooks
Nell’ipotetica cast list di Ron Howard non si fa fatica a immaginare Penelope Cruz nella parte di Ambra Vidal. Aderisce perfettamente alla descrizione fisica di Ambra e nei suoi minivestiti stretch. Nel suo dipingere protagonisti femminili di clamorosa bellezza e al contempo super erudite, Dan Brown trova degno corrispettivo cinematografico nei Transformers di Michael Bay, dove top model mozzafiato vengono chiamate a interpretare topi da biblioteca o scienziati impacciati.
Come già successo con la ragazza francese e anche con quella italiana, la liaison romantica dura il tempo di un romanzo. E senza probabilmente lasciar traccia nella puntata successiva.
Penelope Cruz come possibile Ambra Vidal
5. Il castello
Dopo Roma, Parigi, Washington, Venezia (nell’ordine di pubblicazione dei romanzi) è il turno della Spagna tutta con l’immancabile insalata di paesaggi esotici e misteri, in particolare quelli legati al cattolicesimo e all’esoterismo.
Sin da subito, Dan Brown dimostra di voler tornare agli inizi. Se non proprio a quelli cronologici (Angeli e demoni), almeno a quelli del successo extraletterario (Il codice da Vinci): ancora una volta l’incidente scatenante si consuma in un museo, non più il Louvre di Parigi dove Langdon mostrava la sua onniscienza sull’arte classica, ma il Guggenheim di Bilbao diretto da Ambra Vidal e dedicato alle arti moderne di fronte alle quali, per una volta, Langdon getta le armi e lascia campo libero a Edmond Kirsch.
Sagrada Familìa
Le avventure del professor Langdon, è noto, durano un paio di giorni, al massimo tre, a dispetto della voluminosità del libro. In questo poco tempo, però, riesce ad attraversare i punti principali della penisola iberica. Da Madrid a Barcellona, passando per tutti i luoghi consigliati da una guida turistica: Casa Milà, Sagrada Familìa, ecc.
6. La spada
Grazie alla trilogia di Scream abbiamo capito che chi viola le regole dell’horror è destinato a fare una brutta fine. Prassi è invece nelle avventure di Langdon che il nostro esimio professore venga irretito inconsciamente dalla bella di turno. Dunque, anziché dire tutto quello che sa alla polizia del luogo, prende e fugge con lei.
Javier Bardem come possibile Garza
Si è messo in testa di risolvere gli enigmi tutto da solo, e così oltre a dover guardarsi dal nemico, finisce nella lista dei ricercati.
Dopo il comandante Ernesto Olivetti di Pierfrancesco Favino e il capitano Bezu Fache di Jean Reno, il solerte e giusto poliziotto che si mette alle loro calcagna è il comandante delle Guardie Reali Garza.
7. Il tesoro
Il passaggio di Paul Bettany dalla parte del sanguinario Silas a quella dell’onnipotente Visione (Avengers: Age of Ultron), lo ha visto prima prestare la voce all’intelligenza artificiale J.A.R.V.I.S. (Just ARather Very Intelligent System) che parla a Tony Stark dentro la sua armatura nella trilogia di Iron Man.
Ora, nemmeno un romanzo che si interroga sulle nostre origini (da dove veniamo? dove andiamo?) può esimersi oggi dal mostrarci un uomo che, domandandosi chi gli abbia dato la vita, generi a sua volta vita.
Paul Bettany è il supereroe Visione
Edmond Kirsch ha creato Winston, una intelligenza artificiale in grado di provare sensi di colpa e di generare arte, addirittura assumendolo quale assistente robotico.
Si tratta di una versione evoluta, leggermente vanesia e dotata di sense of humour del Siri disponibile sui nostri smartphone. La sua sede centrale si trova vicino al Camp Nou, dove Edmond Kirsch ha giocato a fare Dio costruendo un supercomputer che è di per sé un altro Dio.
Winston si rivela sin dall’inizio, attraverso le cuffie dell’audioguida fornite all’ingresso del museo, il più abile aiutante del professor Langdon.
Camp Nou
Dal cacciatore di replicanti in Blade Runner più sequel (dove viene applicata una variante del test di Turing) al robot positronico che si innamora ne L’uomo bicentenario, dalla nuova generazione che disobbedisce alle Tre leggi della robotica in Io, Robot alla schiavitù virtuale di Matrix passando per A.I., recentemente la riflessione sulle macchine dotate di un’anima propria ha raggiunto notevoli livelli di complessità con il David di Michael Fassbender che Ridley Scott ha interrogato in Prometheus e Alien: Covenant. Inutile qui specificare che Isaac Asimov aveva già previsto ogni cosa.
8. L’incantesimo
Come volevasi dimostrare, la lunga corsa di Langdon, intento a risolvere enigmi e a salvarsi la vita questa volta non per riportare a galla dimenticate verità storiche, ma semplicemente per recuperare una password di 47 caratteri, si rivela un gigantesco bluff.
La rivelazione di Kirsch a proposito di una nuova teoria sull’origine della vita (che nuova non è affatto) è struggente ed empatica, ma per nulla sconvolgente, e nel mondo reale nessun sano di mente si sarebbe azzardato a ucciderlo, ma neppure a sfiorargli un capello, per quel che aveva da dire. Il MacGuffin era, dopotutto, solo un MacGuffin.
Tom Hanks è Robert Langdon
Le ipotesi futuristiche di Edmond Kirsch che annunciano un nuovo mondo popolato da una nuova specie, metà uomo metà macchina, possono in effetti armonizzarsi con il grandioso finale del romanzo Inferno, dove la popolazione mondiale veniva resa sterile da una subdola bomba (al contrario del film di Howard, dove invece tutto si risolve per il meglio). L’uomo, dunque, incapace di riprodursi tramite accoppiamento, potrà trovare nella tecnologia la soluzione per proliferare nel futuro.
Tenerezza e incanto suscita, con il senno di poi, il cammeo di Stephen Hawking, mentre ci lascia interdetti il disvelamento finale sull’omosessualità dentro la Chiesa in stile confessione del papà in Chiamami col tuo nome e che sembra un po’ come sparare sulla croce rossa. Ma è Dan Brown.
9. Risoluzione
Prevedibile in qualche modo l’identità dietro l’anonimo informatore del blog ConspiracyNet.com le cui news intervallano sapientemente la narrazione e la vera identità del Reggente.
Nonostante i sospetti sulla Chiesa palmariana (una chiesa deviata che esiste sul serio e che è nata unicamente per evadere le tasse: Io c’e pesca praticamente dalla realtà), il grande inganno architettato dalla mente sopraffina spiazza in parte, dove invece ci si aspettava un egoismo robotico di chi fu capostipite HAL 9000 in 2001: Odissea nello spazio.
HAL 9000
Alle domande più vecchie del mondo (da dove veniamo? dove andiamo?) non si poteva che trovare una risposta high-tech, servitaci fra una portata di ricerca e approfondimento storico, e un’altra di esaltazione critica per la spettacolarizzazione ossessiva dei nuovi mass media.
La capacità di Dan Brown di farci conoscere aspetti inesplorati della nostra società è spesso pari alla sua capacità di spacciarci l’ovvio come novità assoluta, in totale armonia con la perenne lotta fra scienza (illuminata) e fede (oscurantistica) che lo scrittore è così abile a drammatizzare in ogni suo nuovo titolo, come di rito campione di vendite in (quasi) tutte le lingue.
Stile
La scrittura è limpida e asciutta, i dialoghi diretti si alternano a quelli indiretti con una precisione matematica da bilancino o da supercomputer dotato di mente bicamerale (Winston!). Precisione che aiuta nelle scene più adrenaliniche. Sequenze ben scandite dai capitoletti dedicati ciascuno, salvo poche eccezioni, al punto di vista di uno e un solo personaggio. Aiuta negli spiegoni didascalici sui disegnini che di tanto in tanto fanno capolino sulla pagina e che sono un classico della serie.
A margine del suo feticismo simbolistico, stavolta Dan Brown si spinge sino a piazzare uno dei suoi rebus da Settimana enigmistica sulla parete di un museo d’arte contemporanea e a farlo giudicare come una delle opere più interessanti. Lo stesso autore ha ammesso che la nostra è una cultura dell’immagine, e sicuramente lui ne è uno dei maggiori esponenti letterari.
L’ultima cena di Leonardo da Vinci
Ancora una volta è lo stile narrativo di Dan Brown, che sapientemente intreccia codici, simboli, arte, architettura, a dividere il pubblico sin dalla sua pubblicazione in (quasi) contemporanea mondiale il 3 ottobre 2017 (in Italia, tradotto da Annamaria Raffo e Roberta Scarabelli per Mondadori). E’ il suo stile travolgente più che il contenuto controverso che intende veicolare, in definitiva, a spaccare in due fra chi lo trova meraviglioso e mozzafiato e chi prolisso e noioso.
Conclusioni
Da dove veniamo? All’inizio del romanzo Edmond Kirsch ci promette una risposta a questa domanda e a quella: Dove andiamo? Kirsch viene ucciso. Così la coppia Langdon / Vidal ne passa di tutti i colori pur di chiudere il cerchio. E di mandare in mondovisione il video registrato di Kirsch. Cioè la risposta che Brown ci fa “vedere” a fine libro.
Dove andiamo? Esattamente da dove veniamo è la risposta. Dan Brown, come i suoi personaggi, chiude il cerchio, ricollega la fine all’inizio e, mandando in streaming lo spiegone di Edmond Kirsh che si muove in una simulazione virtuale di stampo storico-documentaristico alla Alberto Angela, si riconferma nonostante tutto un narratore superbo.
Alberto Angela
Il suo successo non è stabilito dal volerci parlare di un’idea come fanno in tanti, ma dal volerci raccontare quell’idea. Dan Brown non dimostra, Dan Brown mostra.
Nel salutarvi, vi invito a leggere Origin di Dan Brown, e a tornare su questa pagina per dirmi cosa ne pensate.
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