ScrivereSenzaGloria2: SCRIVIAMO UN FILM di Age
PER CHI SCRIVIAMO?
Age del duo artistico Age & Scarpelli, al secolo Agenore Incrocci & Furio Scarpelli,
ha scritto insieme al suo sodale alcuni fra i più bei film italiani di
tutti i tempi. Poi, da solo, senza perdere il suo tratto ironico, ha
scritto il veloce, bellissimo saggio Scriviamo un film a uso e consumo degli sceneggiatori di tutte le età. Scopriamo cosa dice…
Il nostro primo lettore, scrive Age, è uno spettatore che vede un film da solo. Non sempre è il migliore dei lettori.

DALL’IDEA IN POI
Saper ascoltare talvolta è più difficile che parlare. Nulla è più pericoloso di un’idea quando è l’unica che abbiamo.
La stesura di un soggetto non ha regole codificate (soltanto la sceneggiatura ne ha): è il riassunto di qualcosa che non è stato ancora scritto.
Nel trattamento si descrivono dettagliatamente gli ambienti, è precisato il ritmo delle scene, il movimento dei personaggi, e c’è anche un primo abbozzo dei dialoghi. La lunghezza del trattamento è elastica.

LA LIMA NELLA PAGNOTTA
Nulla è di maggiore stimolo all’invenzione della necessità di cercare la soluzione di un problema di racconto, piccolo o grande, entro limiti angusti, di essere costretti a frugare tra quello che già esiste.
L’inizio è un ingresso, la fine è l’uscita. L’inizio è soggetto a ripensamenti. La fine sarebbe meglio averla in mente subito, ed è il lasciapassare del film: può salvarne uno non eccellente. E’ il finale, nella maggior parte dei casi, a orientare il tono dei commenti e dei giudizi degli spettatori alla conclusione della proiezione.
Ogni film è visto da qualcuno. I punti di vista derivano dal tipo di racconto, possono essere dettati dall’ispirazione o da un meditato calcolo narrativo. La scelta influisce sulla struttura della trama.

La voce fuori campo (indicata in sceneggiatura VOCE F.C.) può essere impiegata sia nel racconto oggettivo come in molti film mitologici e di guerra. Una Voce apparentemente distaccata, ma pur sempre partecipe.
La storia contenuta in un film è una porzione, la più densa e sostanziosa, della vita di uno o più personaggi. Comincia là dove noi pensiamo che sia giusto, narrativamente, farla cominciare, ma ha, inevitabilmente, dei precedenti. Cioè un antefatto.
LA SCENEGGIATURA (Parte I)
La tecnica assiste e sotiene la fantasia e l’ispirazione e viene dall’esperienza, dallo studio e dall’osservazione di ciò che gli altri fanno e, soprattutto, hanno fatto prima di noi. Impariamo il mestiere, poi l’arte. Scriviamo soprattutto per gli altri.
Il paradigma di una scena: l’ambiente, i personaggi indicati con nomi o funzioni, l’azione. Tra le forme di sceneggiatura più diffuse ci sono: all’italiana, all’americana e alla francese. Un dato comune a tutte le forme è la dicitura dell’AMBIENTE in maiuscolo.
Nella sceneggiatura all’italiana la pagina è divisa in due colonne: la sinistra contiene la descrizione dell’ambiente, del tempo atmosferico, alcune fondamentali indicazioni per la Macchina da presa (MdP), la descrizione dei personaggi; la destra schiera i dialoghi (ogni battuta è preceduta dal nome del PERSONAGGIO – scritto a lettere maiuscole – seguito da indicazioni parentetiche come il tono della voce). Se un PERSONAGGIO parla mentre avvengono delle azioni descritte sulla sinistra non è necessario (anzi, è sconsigliato) ripetere (riscrivere) il nome del personaggio.

Nella sceneggiatura all’americana la sinistra, o parte descrittiva, è a tutta pagina (è più sommaria e molto più tecnica della forma italiana, con diciture e sigle che definiscono le posizioni della MdP). Le battute del dialogo sono collocate nella parte centrale del foglio. Il nome del PERSONAGGIO va riscritto anche se vi sono righe di descrizione che si alternano. A fine scena, non c’è il cambio pagina ma, anche dopo una dissolvenza, un passaggio di tempo e/o di ambiente; il cambio pagina dà più aria al copione, lo rende un po’ più simile a un libro.
La sceneggiatura alla francese è una combinazione della forma italiana e di quella americana: la parte descrittiva è a tutta pagina, mentre i dialoghi restano sulla destra e si stagliano bene sul foglio.
LA SCENEGGIATURA (Parte II)
La sceneggiatura è una bottoniera che si schiude asola dopo asola rivelando ciò che copre (o nasconde) porzione dopo porzione. Dobbiamo essere capaci di servire queste porzioni senza svelare le nostre intenzioni, senza cadere nell’errore definito “telefonata in avanti”, che i colleghi americani chiamano “telegraph”, cioè un effetto che si sente arrivare, quindi scontato, che non produce o rischia di non produrre sorpresa o emozione.

C’è una vetta alla quale puntiamo, l’abbiamo voluta noi, è il nostro obbiettivo, è il climax, il culmine in ogni senso. E’ la conclusione della storia, il verdetto che gli autori propongono e che gli spettatori devono approvare o, a volte, possono respingere. Progettare un crescendo di attesa e di tensione non vale soltanto per i film a suspense, polizieschi, di guerra o d’azione. Nei rapporti tra i personaggi, un racconto trova incentivi sempre, o per prudenza quasi sempre, da un conflitto.
LA SCALETTA
Ogni scena ha, come un film, un inizio e una fine. L’inizio esige già una scelta. La Scaletta dovrebbe già darci un preavviso. Una scena ha sempre una funzione, deve avere una durata propria (peraltro elastica) e una conclusione che può gettare un lancio a quella che seguirà o esaurirsi in se stessa.Il lavoro di gruppo è sempre proficuo, le eventuali disparità di vedute sono utilissime. La scaletta è uno strumento rigorosamente riservato a chi vi ha lavorato e vi dovrà ancora lavorar su. Meglio se contenuta in una sola pagina.
La scaletta è divisa, scandita in numeri per l’immediato reperimento di ogni punto della narrazione. Un numero di scaletta può contenere una sola scena o un gruppo di scene, in uno o più ambienti. La scaletta di un film della durata tra i 90 e i 110 minuti dovrebbe essere fondata tra 24 e 28 numeri.
La scaletta ha una funzione insostituibile. E’ la mappa del film.

PERSONAGGI E CARATTERI
Il carattere di un personaggio emerge dal suo comportamento, ma soprattutto dal suo modo di esprimersi. Ogni personaggio deve sapere che posto occupa nella storia, quali sono i suoi precedenti e dove vuole arrivare. Si deve evitare che due caratteri siano troppo simili a meno che non si tratti di una scelta mirata a precise finalità narrative.
Ma frughiamo tra i nostri ricordi, tra le nostre conoscenze. Non pretendiamo, almeno per quanto riguarda i caratteri, di concepire qualcosa di nuovo: è la loro collocazione, il rapporto con gli altri, il loro sfruttamento quello che conta.
I personaggi di un film pensano. Ma fra i difetti della sceneggiatura si annovera la frequenza dei soliloqui. Una delle precipue funzioni dei personaggi è quella di far pervenire informazioni allo spettatore: in maniera diretta o indiretta. E’ la forma indiretta la più difficile da usare, ma anche la più frequente. Non esistono regole o formulette da mandare a memoria. E’ questione di esercizio e di orecchio. E’ solo questione di dosaggio, di distribuzione di periodi, di forma. Ma quando due personaggi devono dire o dirsi cose che il pubblico non conosce, ma loro si, non c’è che un modo: farli litigare.
I NOMI dei personaggi. Non è cosa da poco conto. Per i nomi comuni meglio evitare quelli brevi (in italiano, i bisillabi): si impastano con la parola che li precede o segue. Meglio i trisillabi. Stiamo attenti anche ai cognomi. A parte il rischio di imbattersi in quello di personaggi più o meno famosi, dovrebbero cascare addosso al personaggio, non cozzare con la sua origine regionale. Esiste un dizionario dei cognomi.
I DIALOGHI
Il dialogo è, forse più di tutto il resto, al servizio della storia. Fornisce informazioni, contribuisce a far progredire il racconto e, con esso, a provocare emozioni. Un personaggio può esprimersi in un certo modo per indole o per necessità: l’ambiguità è motivo di interesse in ambedue i casi.
L’elaborazione di un dialogo richiede una buona conoscenza dei linguaggi, di certe regole dialogiche, del sempre auspicabile buon orecchio che ci aiuta a imitare la realtà: un falso realismo, un abile ricalco. Un dialogo assolutamente vero non è riproducibile: quanto la gente parla la costruzione delle frasi è sbilenca, i periodi anaforici.
L’ellissi è indispensabile, ciò che si dice con tre-quattro parole si può dire con due, anche con una. La scelta delle parole e le allusioni aiutano.

TIPI DI SCENE
Una scena può cominciare in mille modi. Un buon procedimento è quello di scrivere un dialogo partendo dall’abominevole “E tu che gli hai detto?” e svolgendolo di conseguenza: ci accorgeremo poi di avere scritto una battuta (la terza o la quinta poco importa) partendo dalla quale continuità e chiarezza sono evidenti e si evita la banalità. Si usa un procedimento analogo quando ci si rende conto che una scena è troppo lunga (succede spesso) e che bisogna ricorrere a un taglio: dando inizio alla scena qualche battuta più in là, ci avvediamo che non perde nulla, anzi ci guadagna.
Non c’è storia che non abbia un momento, e anche più d’uno, in cui due o più personaggi parlino d’amore. Del loro, o di quello degli altri. Una scena d’amore contiene sempre qualche menzogna. Si parla d’amore anche parlando d’altro: è una buona pista per un dialogo. Né si deve escludere una ben dosata ironia.

Il telefono è un mezzo di cui il cinema, come noi, non può fare a meno. In un film una conversazione, un dialogo telefonico, si può svolgere in uno dei seguenti modi: la MdP inquadra i due interlocutori alternativamente; l’immagine è divisa in due parti dove un personaggio è a sinistra e l’altro a destra; la MdP inquadra un solo personaggio ma lo spettatore può udire cosa si dice dall’altro capo del filo attraverso l’effetto microfono; la MdP inquadra un solo personaggio e non udiamo la voce dell’interlocutore, è quindi un monologo in cui il personaggio deve far capire allo spettatore cosa sta dicendo l’altro, è la scena telefonica più suggestiva e la più difficile da scrivere.
VARIE ED EVENTUALI
La rimonta è un precedente narrativo che viene seminato e avrà una conseguenza: può essere inerte o attivo, venire in aiuto del personaggio (di solito, uno dei personaggi) o rivoltarsi contro di lui. Un testo cinematografico contiene più rimonte, grandi e piccole, poiché nulla nasce dal nulla. Quel che conta è che la rimonta sembri fine a se stessa, che sia abilmente occultata.

I tagli: scrivere lungamente per dire quello che si potrebbe esprimere con poche ma sentite parole è uno dei problemi che si presentano puntualmente all’autore di cinema. Succede spesso che nel dialogo si debba indicare o fare riferimento a qualcosa che deve avvenire un certo giorno. E’ incalzante!
I passaggi di tempo presentano spesso un problema: un minuto o un lustro, sulla pellicola, sono uguali.
E’ severamente vietato parlare all’orecchio di qualcuno perché gli altri non sentano e udire, sia pure bisbigliato, ciò che il personaggio dice. E’ severamente vietato non numerare le pagine. Si consiglia di mettere il numero in alto, a destra.

LA FINE DELL’INIZIO
E’ ancor prima, o in fase di montaggio, che spesso, grazie anche all’eloquenza delle immagini, si individuano difetti o magagne di sceneggiatura e, soprattutto, problemi di lunghezza.
Abbiamo, e avremo, sempre a che fare con dei giudici. Spesso dovremo far ricorso al patteggiamento…
Nel salutarvi, vi invito a leggere Scriviamo un film di Age e a tornare su questa pagina per dirmi cosa ne pensate.
Il prossimo appuntamento con ScrivereSenzaGloria2 è per sabato 14 settembre. Intanto potete recuperare tutte le puntate dell’ultima edizione ai link postati a seguire in calce!
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Finito di leggere: tanto tempo fa.