SHERLOCK HOLMES: UN UOMO, UN METODO di Arthur Conan Doyle
Quando Darcy, la collana di letteratura inglese di Rogas Edizioni (collana che contiene gli scritti di Jane Austen, Virginia Woolf, e Oroonoko – leggi QUI la recensione) incontra Dupin, la collana dedicata al giallo e al poliziesco, allora nasce quest’unicum di #darcyincontradupin. Unicum lo è per davvero, dal momento che ospita quattro storie “perdute”, inedite per il pubblico italiano, scritte da Arthur Conan Doyle e incentrate sul detective più famoso di tutti i tempi.

Il volume Sherlock Holmes: un uomo, un metodo contiene difatti…
LA BANDA MACULATA
Questa commedia, scritta in una prima versione nel 1902, andata in scena per la prima volta nel 1910 all’Adelphi Theatre di Londra, è l’adattamento teatrale di un omonimo racconto la cui paternità è attribuibile al solo ACD e non dal commediografo e attore statunitense William Gillette, suo storico collaboratore in questi casi. La pièce teatrale in questione occupa da sola la gran parte del volume. Sempre Rogas Edizioni, ricordiamo, ha pubblicato un’altra opera del duo Doyle-Gillette: Lo strano caso di Alice Faulkner.

Il primo atto a Stoke Moran è affidato alle “verifiche” di Mr. Longbroce, il coroner chiamato a indagare sulla misteriosa morte della figliastra del Dr. Grimesby Rylott, chirurgo anglo-indiano in pensione e padrone della residenza: il coroner interroga ciascuno dei testimoni (Watson, Rylott, il suo valletto indiano Ali, il vecchio maggiordomo Rodgers, la governante Mrs. Staunton), fatti entrare uno per uno dall’ufficiale alla porta, e li sottopone all’esame dei giurati lì convenuti, e la cui voce (mai unanime) ricorda in parte quella del coro nelle tragedie greche.
Commedia divertentissima, un giallo classico ambientato nella campagna inglese con breve incursione di Watson a Baker Street per richiedere l’aiuto del suo sodale di un tempo, quindi ritorno alla magione del crimine con Sherlock e il suo nuovo giovane assistente, Bill, sotto mentite spoglie. Ovviamente i travestimenti del celebre segugio rimangono tra le parti più divertenti insieme alle sue articolate macchinazioni al fine di risolvere un caso apparentemente insolubile.

I RACCONTI
Sono due, entrambi brevissimi e fulminanti.
Nel divertente La fiera di beneficienza (1986), scritto per la raccolta fondi per l’Università di Edimburgo e pubblicato su un magazine redatto per l’occasione, lo scopo dello scritto diventa il suo oggetto stesso: Watson scrive in prima persona questo racconto per la sua Università (di Edimburgo) dopo l’illuminante conversazione avuta con l’amico Holmes. Il tutto per portare a termine la costruzione di un campo sportivo nei pressi di Craigckhart. Pazienza se, come puntualizza la bravissima traduttrice Adalgisa Marrocco, Watson non si sia laureato a Edimburgo ma a Londra (viene affermato sin dal primo libro della serie, Uno studio in rosso). In fondo, parliamo di opere extracanoniche.
L’altro racconto, Come Watson imparò il metodo (1924) è senz’altro più caricaturale. Pure in questo caso, lo scopo grottesco diventa oggetto comico, essendo stato scritto (a mano) per la mini-collezione della biblioteca della Queen Mary’s Dolls’ House, il palazzo reale in miniatura donato dai sudditi inglesi alla Regina Mary, moglie di Giorgio V, dietro richiesta esplicita della principessa Maria Luisa di Schleswig-Holstein. Perciò va in scena la parodia di come l’elementare Watson provi ad apprendere il metodo (o trucco?) abduttivo del coinquilino (fatto di osservazione della scena e ragionamento logico), pur senza conseguire notevoli traguardi.

L’AVVENTURA DELL’UOMO ALTO
In questo caso abbiamo a che fare con una scaletta ritrovata nel 1940 circa dal biografo di ACD, Hesketh Pearson, nella quale l’autore si concentra principalmente sui punti salienti dell’indagine. Da notare come le uniche tracce di dialogo diretto non facciano che accentuare la bonaria presunzione di Holmes. Non è chiaro se si tratti della trama per un racconto o per un romanzo.
CONCLUSIONI

Ciascun “episodio” è introdotto da gustose illustrazioni che richiamano la grafica di copertina (dove lo Sherlock selezionato è quello televisivo dì Cumberbatch) di questo interessante lavoro di ricerca, con la prefazione di Giovanni Ricciardi, immancabile negli scaffali di ogni collezionista.
Quello che più emerge, alla fine della lettura, è la fondamentale presenza di Watson, quasi sempre relegato al ruolo inevitabile ma ingrato di “spalla”.
Nel salutarvi, vi invito a leggere Sherlock Holmes. Un uomo, un metodo, e a tornare su questa pagina per dirmi cosa ne pensate.
Finito di leggere: martedì 17 dicembre 2019