STORIA DELLA BAMBINA PERDUTA di Elena Ferrante

STORIA DELLA BAMBINA PERDUTA di Elena Ferrante

Il tutto da una parte

Nessuno può giudicare Kill Bill vol.1 senza avere visto Kill Bill vol.2, e viceversa. Del resto chi potrebbe giudicare il tutto da una parte?
Qui in realtà l’abbiamo già fatto per il volume n.2 (Storia del nuovo cognome) e n.3 (Storia di chi fugge e di chi resta) della quadrilogia di Elena Ferrante. Ora lo rifacciamo per Storia della bambina perduta, quarto e ultimo volume della tetralogia iniziata con il manifesto di una letteratura L’amica geniale. Lo rifacciamo pur tenendo bene a mente che non si tratta di “quattro puntate”, ma del corpus compatto di un’unica grande saga sull’amicizia (totale complessivo di 496 capitoli).

Storie perdute

L’episodio conclusivo di questa lunghissima esperienza letteraria è il meno incisivo di tutti. A ripensarci, ci si domanda come mai nel primo volume della serie la Ferrante si sia dilungata pagine e pagine su un evento perduto nell’infanzia delle due protagoniste (le bambole di pezza inghiottite dal buio di Don Achille). Proprio come se a scriverne fosse stata un’adolescente troppo emotiva.
Ce lo ricordiamo perchè ora, in Storia della bambina perduta, la Ferrante dedica appena un capoverso all’arresto e all’interrogatorio subito dalla protagonista. Sembra quasi che un evento di tale portata non sia mai successo per davvero e non ci sia nulla da spiegare in proposito.
Sicuramente le esperienze infantili rimangono più impresse di quelle dell’età adulta. Eppure da una penna matura, e impegnata intellettualmente e politicamente, come quella di Elena Greco (alter ego di Elena Ferrante e dunque voce narrante del libro), ci si sarebbe aspettato qualche dettaglio in più su quella maledetta notte.

Così è la vita

Sono due i principali motivi per cui quest’ultima puntata della saga risulta la più fiacca di tutte.
Primo: perdita di mordente. Lila (che abbiamo già affermato essere il più potente personaggio della letteratura italiana degli ultimi anni) non ha più potere. Mi correggo, ce l’ha, ma la Ferrante, dopo avere impiegato ben tre romanzi a mostrarci questo potere, ora non lo fa più. Semplicemente ce lo racconta, e per questo risulta indebolito.
Si nota questa flessione un po’ dovunque, come se adesso l’autrice avvertisse la fretta di correre verso la fine. Per tale ragione molte scene sembrano telefonate: Lenù, assillata dalle scadenze della casa editrice, manda in lettura un manoscritto adolescenziale che non rilegge da anni e che già allora trovava brutto, e cosa succede? La casa editricie la richiama e grida al capolavoro!
Questa e altre scelte narrative tradiscono un po’ lo stile generale dell’opera, dove si è sempre preferito farci pensare così è la vita piuttosto che farci vedere i fili della trama.
Il classico di Aldo, Giovanni e Giacomo
Così è la vita
Esempio in questo senso, la morte di Alfonso capita inaspettatamente da un capoverso all’altro. Per quanto questo decesso appaia agli occhi di Lenù (e quindi ai nostri) molto distante, ci fa venire un nodo alla gola. Perché così è la vita, quando un amico/conoscente ad un certo punto viene ritrovato ammazzato di bastonate, non si sa da chi, ma certamente perché è frocio. Non dico che un’esperienza del genere possa capitare o sia capitata a tutti i lettori, ma è un’eventualità che ricorda molti fatti che incrociamo nelle nostre giornate: la morte che non ti tocca eppure che ti scuote.

La vecchiaia

Secondo motivo: eccessiva lunghezza. Non che la moltitudine di pagine sia un problema, ma se mancano di mordente (Lila non pervenuta e le scene telefonate), allora sì, sono troppe!
Non è possibile aspettare 300 pagine prima di giungere all’incidente scatenante di questa storia, però è quello che succede. La divisione in quattro parti dell’opera qui non ha suggerito di rimaneggiare la scansione degli eventi come sarebbe stato opportuno.
Il vero gancio narrativo di Storia della bambina perduta, quello che ti prende (SPOILER: la sparizione di Tina) avviene quasi alla fine del secondo atto. Questa è l’unica ragione per cui la seconda e ultima parte del volume (La vecchiaia) diventa più interessante della precedente (La maturità): perché ne subisce gli effetti, e la riscrive secondo una nuova ottica. La vecchiaia è l’età che più di tutte quelle raccontateci finora dalla Ferrante, è totalmente distaccata dal suo tempo: il ricordo di Tangentopoli sarà ancora vivo, ma l’11 Settembre pare non esser mai capitato.
L'attentato alle Torri Gemelle
11 Settembre 2001
Come se gli anziani si stessero già allontanando dal loro mondo e dalla loro epoca, costretti a rivivere unicamente il proprio passato.
Per di più la lunghezza del tomo credo che non abbia fatto riporre la dovuta attenzione su alcune assonanze e ripetizioni che una lettura a voce alta avrebbe smascherato. Cito un esempio a memoria: “l’insorgere di sentimenti che insorgevano in Lila”.

Il terzo motivo

Tre. Ma questo è un parere del tutto personale. Nino. Se Lenù è uno dei personaggi più significativi di sempre, Nino è il più antipatico di sempre.

Non mi è mai piaciuto, sin dalla sua prima apparizione: non ha un briciolo del cupo fascino di Heathcliff sebbene forse ci speri, ed è un semplice donnaiolo e arrampicatore sociale fintamente intellettualoide, politicizzante, ignorante, sessista e classista (come tutti gli arrampicatori). Sinceramente dispiace che Nino sia sfuggito all’incredibile ecatombe finale che si fa sempre più massiccia verso il volgersi dell’ultima pagina.

Ralph Fiennes nel film Cime tempestose di Peter Kosminsky
Heathcliff

La Ferrante assegna un piccolo finale a tutti i comprimari, anche se spesso davvero si tratta di sorti da fuelletton. Dietro alle dipartite “telefonate” (una sfilza di infarti, ammazzatine, ritrovamenti, ecc.) la vita vera emerge però sempre a braccetto col mistero: chi ha ucciso chi?, chi ha rapito chi?, chi confessa cosa?, quali crimini uno ha davvero commesso e quali confessato? Le risposte non contano, contano solo le ipotesi, perché così è la vita.

Una bambina in meno

Lila è raccontata, non mostrata, si è detto. Una cosa ci è però qui più chiara che nei precedenti volumi: quando a Lenù qualcosa va bene, a Lila va storta, e, al contrario, se a Lila va bene, allora va storta a Lenù. Si tratta di due amiche che hanno vissuto sempre insieme, e condiviso i momenti più importanti della propria esistenza. Dalla sparizione delle bambole alla gravidanza e via dicendo, si sono sempre influenzate a vicenda.

L’evento più tragico di questa narrazione lascia aperto un quesito: dove è finita la piccola Tina?

Si potrebbe rispondere che a farla sparire sia stata Lila, la mamma, per premeditazione o contrapppasso, oppure che sia stata Lenù, l’amica geniale della mamma. Perché forse Lenù voleva vendicarsi: da piccola la sua bambola di pezza si chiamava Tina, e Lila gliela aveva gettata nel vuoto, salvo poi chiamare Tina sua figlia.

Oppure la responsabile è Lila semplicemente perché ha scritto quelle pagine, e ha deciso che Tina doveva sparire dalla narrazione? Lila nutre il sospetto che le abbiano portato via Tina perché potevano averla scambiata per la figlia di Lenù, data la pubblicazione su Panorama di una foto insieme con equivoco a corredo di un’intervista. Ma non è così, nessuno ha mai avanzato a Lenù richieste di riscatto o almeno lei, che è la scrittrice, non ne fa mai menzione.

Il logo di Panorama
Panorama

Faccia a faccia

Tutti si domandano chi fra Lila e Lenù sia la vera amica geniale. Quella che ha trascinato Lila nel suo disegno di scrittura? O colei che con la sua vita ha messo in moto il disegno di scrittura di Lenù? Queste due piccole donne (il romanzo di Louisa May Alcott è il loro preferito), che anche da vecchie si odiano, si amano, si lasciano, si inseguono, sono entrambe geniali perché, secondo me, Lila e Lenù sono la stessa persona.

Susan Sarandon nel film Piccole donne di Gillian Armstrong
Piccole donne

Prendete la prima pagina, indice dei personaggi: sono nate lo stesso mese dello stesso anno. Aprile, il mese degli scherzi. Potrebbero essere state scambiate nella culla come succede a Ficarra e Picone ne Il 7 e l’8, oppure semplicemente Lenù è pazza: si è sognata tutto, si è inventata un’amica geniale, un capro espiatorio, e poi, con la vecchiaia, è guarita, la sua malattia scomparsa e con lei Lila. Non è Shutter Island o The Ward, ma la storia di una pazza che è anche geniale.

Il duo comico Ficarra e Picone
Il 7 e l’8

Il labirinto

Le ultime righe ce ne danno ulteriore riprova. Nel più classico e meraviglioso stile de L’amica geniale, non è un colpo di scena a chiudere tutto. Semmai c’è il sollevarsi di un sentimento all’emergere di un filo di trama.

Lila ha sempre rimproverato alla scrittura di Lenù di non essere realistica fino in fondo quando racconta fatti reali. Oppure la rimprovera, quando li trasfigura in eventi e situazioni immaginarie, di non trovare il filo che lega ogni punto.

Alla fine Lenù quel filo lo ha trovato: è tornata al giorno della sparizione delle bambole di pezza per riacciuffarlo, ha preso per mano questo filo e lo ha seguito fino alla pubblicazione di Un’amicizia (ultimo suo successo letterario, biografico come L’amica geniale, di cui è specchio nella finzione letteraria).

Leonardo Di Caprio e Mark Ruffalo in Shutter Island di Martin Scorsese
Shutter Island

Come Teseo grazie ad Arianna, anche Lenù grazie a Lila ha seguito il filo per uscire dal labirinto della pazzia, per ritrovare un’amica, e cioè ritrovare sé stessa, e la sanità mentale.

Lo sliding doors manifestatosi palesemente nel secondo volume della serie, finalmente si chiude. Lo sliding doors che, per dirla con Lila, è una smarginatura (termine che la Ferrante, come Shakespeare, si è inventato, o almeno adattato per l’occasione, non trovando niente di utile per lei nel già ampio vocabolario italiano).

Conclusioni

La smarginatura è quel distacco fra realtà e finzione, un po’ come avviene nei déjà vu, ed è quella forza con cui ci travolge la stessa Ferrante (lei che lo fa capitare ai suoi personaggi e ai suoi lettori, indistintamente): succede quando ci fa vedere le cose secondo diversa natura, descrivendo ogni singolo dettaglio con una forza autentica e immensa, tale da rimanerti impressa anche distante dalla lettura.

La smarginatura si ricongiunge (Lenù e Lila: sono la stessa persona), ma come in un gioco di scatole cinesi subito apre una nuova separazione: quella che divide Elena Ferrante da Elena Greco, la seconda ha vissuto grazie al corpo della prima come Lila aveva vissuto col corpo di Lenù.

Il libro che nei suoi ultimi giorni Lila ha provato febbrilmente a scrivere, non è forse lo stesso che abbiamo appena letto noi ma a firma di Elena Greco (alias Elena Ferrante)?

L’autore è il personaggio, ma il personaggio non è l’autore. Il libro è di Lila, non di Lenù, l’una sta all’altra come Elena Greco sta ad Elena Ferrante.

Nel salutarvi, vi invito a leggere Storia della bambina perduta di Elena Ferrante, e a tornare su questa pagina per dirmi cosa ne pensate.

 

Finito di leggere: martedì 30 Gennaio 2018.

3 Replies to “STORIA DELLA BAMBINA PERDUTA di Elena Ferrante”

  1. Lila e lenù sono due persone orribili, egoiste e manipolatrici. e si odiano reciprocamente. L’unico positivo in una vera folla di personaggi è Enzo.
    E la città in cui la storia si svolge NON è Napoli, ma una qualunque borgata degradata, forse di roma.
    La storia va avanti tra un mucchio di elucubrazioni, e tranne alcune pagine del primo volume è pesante e farraginosa, specialmente nelle disquisizioni politiche. Di sicuro non l’ha scritta Starnone. Propendo per la consorte

  2. Concordo: Lenu’ e Lila coincidono in Elena Ferrante, ho avuto questa sensazione anch’io, sebbene ancora non abbia letto il quarto libro, questa chiave di interpretazione da un senso logico a tutta la serie.

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