TIMELINE libro vs film
Michael Crichton è un grande maestro del thriller che ha prestato più di un romanzo al cinema (leggi QUI “Jurassic Park: libro vs film” e QUI la recensione de La grande rapina al treno). Uscito nel 1999, anche Timeline ha avuto un adattamento nel 2003 firmato da Richard Donner (lo stesso signore dei primi film su Superman, Ladyhawk, I Goonies e la serie di Arma letale): il titolo italiano è Timeline – Ai confini del tempo.
VADO E TORNO
Al centro del romanzo abbiamo un’avventura incredibile. Il professore Edward Johnston è a capo della missione di ricerca archeologica vicino alla Dordogna (il fiume che attraversa l’omonima regione francese), finanziata dalla ITC, un’agenzia di meccanica quantistica di proprietà di Robert Doniger, un genio miliardario che ha sviluppato tecnologie avanzatissime. Ad esempio una macchina per viaggiare attraverso gli universi paralleli al nostro, alcuni dei quali collocati in epoche diverse. Quando Johnston lo scopre e decide di viaggiare nel XIV secolo per favorire i suoi lavori di ricostruzione, sembra però smarrirsi. Allora l’ITC preleva quattro ricercatori tra i più fidati collaboratori di Johnston per andare a recuperarlo nel passato: Chris Hughes, Kate Herickson, André Marek e il fisico David Stern. Ed è così che anche loro (ad eccezione di Stern) vengono teletrasportati nella Francia del 1357, scossa dalla Guerra dei Cent’Anni: se da un lato possono toccare con mano come erano realmente fatti gli edifici da loro studiati, ad esempio i castelli di Castelgard e La Roque e il monastero della Sainte-Mère (contraddicendo alcune loro stesse supposizioni), dall’altro devono confrontarsi con la brutalità del periodo (e che permette all’autore di marciare spedito su scene splatter).

Le 37 ore di tempo che hanno disposizione (prima che si esauriscano le batterie dei dispositivi) sono conteggiate nel countdown utilizzato per titolare i capitoli. Tra i capoversi sono di tanto in tanto inserite mappe, piantine o disegni di castelli, monasteri e via dicendo in modo da visualizzarli direttamente per il lettore. Quello che il gruppo di archeologi e storici scopre sul Medioevo non è riportato sui libri di scuola: in tempo di pace i castelli non erano sorvegliati come crediamo anzi c’era un bel viavai sul ponte levatoio, inoltre le persone tenevano moltissimo alla pulizia, i duelli tra cavalieri non erano lenti e appesantiti dalle armature poiché gli uomini erano molto più forti e resistenti per natura. Ovviamente si tratta di supposizioni dell’autore in base ad alcune ipotesi più o meno accreditate sullo stile di vita del passato, e che riesce a rendere credibili.
VERO E FALSO
Le strade dei viaggiatori del tempo incrociano quelle di Lord Oliver de Vannes, un dissoluto “signore della guerra” inglese che aveva preso possesso dei villaggi sulla riva. Lord Oliver si è accordato in segreto con il feroce cavaliere Ser Guy de Malegnant: il primo gli venderà la sua protetta Lady Claire, una nobildonna rimasta vedova giovanissima, e il secondo venderà le terre di lei per riscattarla. Allora i nostri eroi, per salvare il mentore, Lady Claire e tornare al presente, devono mescolarsi con la gente, e perciò i loro nomi cambiano: il professore Johnston diviene il Magister Edward de Johnes, Chris diventa Christopher de Hewes scudiero dell’Eyre e così via.

Del resto Crichton aveva introdotto il romanzo con l’estratto di un manoscritto firmato da M.D. Backes e intitolato The Hundred Years War in France (1996), che racconta un furibondo episodio di guerra: duemila cavalieri rinnegati capeggiati da Arnaut de Cervole, un monaco spretato noto come “l’Arciprete”, avevano attaccato le terre di Lord Oliver de Vannes e razziato il vicino monastero (e distruggendone il celebre violino). Secondo questo “falso storico” Lord Oliver fu difeso nel suo castello da un misterioso consigliere militare, tale Edwardus de Johnes, una specie di scienziato mercenario (espertissimo in polvere da sparo, che allora era una novità), equiparato a Merlino per la sua capacità di apparire e svanire con un’esplosione di luce. Chiaramente si tratta del professore Johnston, i lampi si riferiscono all’azione della machina del tempo, e il gruppo di aiutanti che lo accompagnavano ai ricercatori venuti dal futuro. Il “manoscritto” (inventato di sana pianta da Crichton insieme al suo autore) anticipa inoltre il tradimento di un seguace di ser de Vannes, che rivelò un passaggio segreto al nemico e consegnando di fatto il castello al famigerato Arciprete.
SCIENZA VEROSIMILE
La trama procede tra pericoli, colpi di scena e scarti temporali. L’introduzione al romanzo faceva il punto sulla “scienza alla fine del secolo” che ha compiuto passi da gigante inimmaginabili solo il secolo precedente, e che altrettante e sconvolgenti ne farà al volgere dei prossimi cento anni. In particolare, l’attenzione è tutta verso la scienza quantistica. Difatti la teoria elaborata da Michael Crichton è una delle più interessanti e originali a proposito del time travelling. Secondo lui non si tratta di viaggio nel tempo quanto di viaggio nel multiverso. La macchina inventata dalla ITC funziona come un fax ma per materia solida: scompone i dati qui per riassemblarli altrove, ovvero teletrasporta un individuo da un universo all’altro (collocato in una differente dimensione temporale). A ogni viaggio i codici di base del viaggiatore vengono ritrascritti, e più si viaggia più aumentano i rischi (errori di trascrizione degli organi o palesati come cicatrici esterne). In definitiva: la persona che va in un universo e poi torna nel nostro, è la stessa persona e allo stesso tempo non lo è.

Comunque, è innegabile che certe altre soluzioni appaiono forzate per esigenze di narrazione e poco naturali, ad esempio il fatto che già dal principio Marek sia talmente appassionato ai tornei cavallereschi che è da una vita che si prepara ai duelli (ma per quale ragione? non poteva certo sapere che avrebbe viaggiato indietro nel tempo!). Altre minano proprio lo sforzo di plausibilità scientifica: ci riferiamo agli auricolari con funzione sia di traduttori simultanei sia di ricetrasmittenti che permettono agli eroi di comprendere ed esprimersi in lingua antica (come se il linguaggio fosse scollegato da consapevoli processi di pensiero).
DAL LIBRO AL FILM – I VIAGGIATORI DEL TEMPO
Fare un raffronto con il film è stavolta un impresa più difficile del solito, anzitutto perché non vorremmo parlar male di un film di Richard Donner nemmeno sotto tortura. Le due opere cominciano allo stesso modo, con l’impiegato dell’ITC in abiti monacali che spunta in pieno deserto e per poco non viene investito da un’auto (nel libro guidata da una coppia, nel film dal solo uomo). La prima cosa che colpisce della pellicola è la soppressione o sostituzione di quasi tutti i personaggi femminili del libro: non c’è la giornalista rampante che viene a ficcanasare tra gli scavi di Castelgard mettendo una pulce nell’orecchio del professor Johnston (Billy Connolly) a proposito dei segreti della ITC (nel film invece egli pare già essere consapevole della macchina del tempo, cosa che nasconde ai suoi collaboratori); e soprattutto non c’è la visita iniziale del sito archeologico condotta in elicottero da Diane Kruger, perché la fidata assistente dell’ambiguo Doniger (David Twelis, noto per avere interpretato l’altrettanto infido Remus Lupin nella saga di Harry Potter) manca del tutto (o meglio è “assorbita” dallo Steven Kramer di Matt Craven). Pertanto le funzioni principali della Kruger vengono spostate sull’altro assistente di Doniger, Frank Gordon (Neal McDonough, che ha in curriculum una lunga sfilza di ruoli da cattivo): Gordon non se ne rimarrà al sicuro nel laboratorio, ma seguirà gli archeologi nel loro viaggio, accompagnato a sua volta da due mercenari che aveva comandato quando stava nei marines, Baretto e Gomez. Quest’ultimo nel film è un uomo, non una donna: o perché non eravamo ancora abituati a donne militarizzate, oppure perché non era raccomandabile vedere una donna decapitata nei primi minuti della storia, sta di fatto che il cast femminile viene praticamente dimezzato.

A differenza che nel libro, Chris (Paul Walker, all’apice del successo dopo due Fast & Furious e dieci anni prima della sua triste scomparsa) non è stato adottato ma è figlio biologico del professore per cui il suo cognome è pure Johnston (e non Hughes), ed è il meno interessato alle “cose del passato” rispetto ai suoi amici. Questi sono tutti archeologici “generici”, senza entrare nel dettaglio delle loro specializzazioni, e chiaramente su tutti spicca André Marek (Gerard Butler, nello stesso anno andato in sala con il secondo Tomb Raider e a un passo dalla fama mondiale con 300), ritratto come amante della storia ma meno fanatico della sua controparte letteraria (che addirittura si era costruito una quintana per allenarsi alle giostre, aspetto del romanzo che del resto anche noi abbiamo criticato per scarsa verosimiglianza). Rispetto al libro, il gruppo ha un membro in più, il pauroso Francois Dolette, che viene convinto a tornare indietro nel tempo per la semplice ragione che è il solo tra loro a “parlare francese”: peccato che, come arrivano nel passato, è il primo a fare una brutta fine (insieme a Baretto e Gomez). Davvero una scelta inspiegabile, se non per il fatto di aumentare ulteriormente il cast maschile (forse perché il film era destinato a un pubblico perlopiù WASP?). A proposito della lingua, gli sceneggiatori eliminano dall’equipaggiamento i traduttori simultanei nelle orecchie (altro aspetto da noi criticato) così come i cubetti rossi per accendere il fuoco (e all’occorrenza usati come esplosivo). Certo, gli sceneggiatori poi non si sono presi il disturbo di spiegarci bene come questi viaggiatori contemporanei comprendano e si facciano comprendere dalla gente del passato (e di un altro continente), ma questo è un altro paio di maniche.
Il funzionamento della macchina del tempo viene spiegato in maniera più o meno simile. Ossia paragonando la trasmissione dati a quella di un fax. Vengono mostrate le prime fotografie scattate sul luogo di arrivo (un deserto nel libro, un pendio boscoso nel film) e poi della volta celeste per determinare l’epoca. Il vero peccato capitale dell’adattamento filmico è però avere derubricato il viaggio nel tempo al semplice passaggio verso un punto specifico dello spazio-tempo, eliminando così tutte le originali spiegazioni sulla trasmissione quantica nel multiverso che l’avrebbero elevato a un qualcosa di diverso dal solito (Christopher Nolan, o suo fratello Jonathan, ci sarebbero andati a nozze, ma il rispetto nei confronti di Richard Donner ci impone di fermarci qui). Nel libro si può viaggiare verso diversi spazio-tempo (ma noi ne vediamo solo uno), l’area di transito è inoltre schermata da enormi piscine e non da vetri mobili. Pure, la questione dei frankenstein temporali, ovvero coloro che hanno accumulato troppi errori di trascrizioni non ottiene il giusto risalto.

DAL LIBRO AL FILM – IL RITORNO
Indietro nel tempo. I nostri eroi non vengono attaccati da Ser Guy ma dai cavalieri di Robert De Kere (Marton Csokas). Inutile ora soffermarci su tutte le differenze o somiglianze tra libro e film perché a questo punto della trama le divergenze si fanno incalcolabili. Ci limitiamo a dire che il “ragazzino” che li mette in guardia dai cavalieri (e che scopriremo essere Lady Claire travestita) fugge non insieme a Chris ma insieme a Marek, la loro intesa è da subito evidente. I due passano una serie di traversie prima di approdare sulla sponda amica (e non al castello), e in genere Lady Claire è dipinta in maniera nettamente più positiva: anziché vedova non è mai stata sposata (forse che c’era ancora il tabù per una vedova di cominciare a una nuova relazione?), non li tradisce alla prima occasione, non si concede sessualmente all’abate per avere la sua protezione in quanto non è mai stata prima con un uomo, ecc ecc.
Il resto del gruppo si ricongiunge immediatamente con il professor Johnston (non per puro caso al castello, ma al villaggio), non hanno 37 ore di tempo per tornare al presente ma solo 2 (lo capiamo, i tempi cinematografici), pertanto finiscono esattamente il giorno dell’attacco inglese a Castelgard (e non il giorno prima). Inoltre non devono recuperare dalla parrucca della testa decapitata di Gomez il secondo marker (il minuscolo chip per attivare la macchina del tempo) perché ce l’ha già Gordon con sé. Questi però viene eliminato dallo spadone di Robert Deckard, l’impiegato che (a causa degli errori di trascrizione nel suo corpo) era rimasto nel passato, assumendo l’identità di sir Robert de Kere (il suo segreto viene svelato abbastanza presto nel film, mentre nel film succede solo nelle ultime pagine). In generale, le dinamiche dei gruppi e dei loro spostamenti prendono svolte del tutto diverse. Nessun torneo cavalleresco né per Marek né per Chris. Il primo consegna Lady Claire ai francesi venuti a liberarla (nel film è la sorella di Lord Arnaud de Cervole, interpretato da Lambert Wilson, un paladino più eroico di quello letterario e contrapposto al ben più misero Lord Oliver di Michael Sheen), e con ciò rischiando di compromettere la storia: infatti fu il martirio di Lady Claire a motivare l’attacco dei francesi. Il secondo, insieme alla collega Kate Ericson (Frances O’Connor), penetra nel monastero dove riconosce la cappella da lei scoperta nel futuro (e con una esultanza degna di questo nome, non descritta sbrigativamente come nel libro), quindi il passaggio segreto che (conducendoli all’interno dell’inespugnabile castello di La Roque) determinerà le sorti dell’imminente battaglia. L’ago della bilancia sarà poi spostato dalle conoscenze del Professore che “importerà” nel passato il fuoco greco (quando gli versi sopra l’acqua per spegnerlo, si ravviva): nel libro l’atto pratico segue alla spiegazione, nel film è l’esatto opposto. Infine, nel libro Marek sceglie di restare per salvare gli altri e non per unirsi a Lady Claire (cosa che comunque accadrà), mentre Doniger non viene catapultato nel passato per “errore” ma consapevolmente spedito lì dagli eroi in missione punitiva (e moralmente discutibile).

Il film ebbe una finestra estiva da blockbuster, ma fu premiato da incassi miseri e critiche feroci. Noi non ci sentiamo di bocciarlo del tutto. Vero che tutta la parte pseudoscientifica di Crichton è stata malamente calpestata, ma ciò non significa che il cerchio temporale si sia appiattito in una linea: ad avercene di opere avventurose con questo ritmo ed escalation. Voglio dire, abbiamo pur sempre un mostro sacro come Donner alla regia, e si vede!
CONCLUSIONI
Da un fondamento scientifico, Crichton riesce tutte volte a farci viaggiare con la fantasia in scenari sempre diversi e ben scritti. Grazie ovviamente alla disinvoltura con la quale riesce a snocciolare la sua documentazione (ora scientifica ora storica) attraverso un meccanismo a orologeria da thriller. Qualcuno potrebbe criticare i personaggi di non avere il giusto spessore e alcune scene di risultare inverosimili, ma fa tutto parte di quella sospensione di incredulità che Crichton riesce a ottenere con la solita maestria. Le circa 600 pagine non hanno sbavature (nemmeno nei necessari tecnicismi presenti a iosa in storie di questo genere), e il racconto è “visivamente” spettacolare.
Finito di leggere: martedì 5 marzo 2024.
Nel salutarvi, vi invito a leggere Timeline di Michael Crichton, e a tornare su questa pagina per dirmi cosa ne pensate.