LA DEA CIECA di Anne Holt
HANNE WILHELMSEN
Due omicidi (apparentemente scollegati, tanto per cambiare) scuotono Oslo dai vertici ai bassifondi. Il primo delitto è quello di un piccolo spacciatore. Il secondo riguarda un avvocato di dubbia moralità. Ed è un avvocato civilista (di diritto commerciale per l’esattezza), Karen Borg, a trovare casualmente il primo cadavere e poi a essere scelta per la difesa di un ragazzo olandese fermato in stato confusionale e ricoperto di sangue: su di lui ricadono i sospetti del primo omicidio.
Il caso è affidato all’ispettrice Hanne Wilhelmsen. Apprezzata da tutti i colleghi, li schiva quanto basta per evitare domande sulla sua relazione omosessuale con Cecile: vive il suo amore clandestinamente per evitare ripercussioni sulla carriera. Nel tempo libero Hanne ripara e lucida la sua Harley Davidson del 1975 color rosa cadillac, un modo come un altro per distrarsi mentre la sua mente si concentra sulle indagini unendo i pezzi scomposti del puzzle.

ANNE HOLT
Non è la prima volta da queste parti parliamo della più famosa autrice norvegese di gialli. Anne Holt, ex avvocato, ex ministro, oggi scrittrice e persino giornalista di calcio: abbiamo recensito uno dei suoi romanzi di maggior successo (Quello che ti meriti, prima indagine della coppia Vik e Stubo – leggi QUI la recensione) e un’altra avventura dell’ispettrice Wilhelmsen (L’unico figlio, terzo volume su dieci della serie – leggi QUI la recensione). L’esordio della Wilhelmsen in La dea cieca (1993) è anche l’esordio della sua autrice e uno dei suoi romanzi più celebri. La prima edizione italiana è però sbarcata da noi, grazie a Einaudi, solo nel 2010, molto dopo il successo riscosso dalla coppia Vik/Stubo sebbene i libri siano cronologicamente successivi.
Le morti aumentano a ritmo vertiginoso, anche se più si va avanti più l’intreccio può suonare come interminabile. Hanne richiede abbastanza presto la “consulenza” di Billy T., il trasandato e dongiovanni agente della Narcotici che una parte sempre più importante avrà nella sua vita e nei futuri casi. Il finale, a tratti prevedibile, porta però alla luce un aspetto non sufficientemente dibattuto, quello della mafia norvegese legata in primis al traffico di droga e della connivenza con parti deviate del governo. Difatti La dea cieca, alternando i punti di vista sia dei difensori della legge sia dei colpevoli senza nome (l’approfondimento psicologico è uno dei punti di forza di questo noir), svela un intreccio fra droga, avvocati (Karen Borg, notiamo, a volte ruba la scena ad Hanne) e i servizi segreti (corrotti).

CONCLUSIONI
La conoscenza della Holt delle dinamiche poliziesche è fresca e sorprendente: si vede che pesca da situazioni vissute (come quando parla di una sirena da collaudare sulla volante che fa sussultare gli agenti in ufficio) o da constatazioni fatte sul campo (le pessime condizioni delle celle, la facilità di accesso in distretto, gli scarsi mezzi della polizia), e ci fa respirare quelle atmosfere tipiche di serie “realistiche” come The Shield o The Wire ma calate nel freddo scandinavo. Pur se questi sono gli anni del fax, quando internet nemmeno veniva menzionato.
Tecnicismi legali a parte, il senso dell’opera ci arriva grazie al poliziotto Hakon Sand, anti-eroe di altri tempi che collabora spalla a spalla con Hanne. In una scena significativa Hakon, mentre fa visita al capo della polizia, posa gli occhi su una statua rappresentante la dea della Giustizia bendata: se da una parte è sinonimo di giudizio super partes, dall’altro quello stesso giudizio preoccupa perché la dea non vede.
Finito di leggere: martedì 15 febbraio 2022.
Nel salutarvi, vi invito a leggere La dea cieca di Anne Holt, e a tornare su questa pagina per dirmi cosa ne pensate.