SULLA LUNA CON STANLEY KUBRICK di Filippo Ulivieri
IL RITORNO DI KUBRICK
Dopo Stanley Kubrick e Me. Trent’anni accanto a lui. Rivelazioni e cronache inedite dell’assistente personale di un genio, la biografia di Emilio D’Alessandro (leggi QUI la recensione), Filippo Ulivieri (dal 1999 curatore di ArchivioKubrick, il più completo database online sulla vita e l’opera di Stanley Kubrick) torna con una nuova e rivoluzionaria indagine – termine riuscitissimo, visto che agisce e si legge come un buon giallo – per destrutturare il mito immortale consolidato da anni di venerazione collettiva. Ovviamente parliamo sempre del regista più misterioso e discusso della storia del cinema: Stanley Kubrick.
Protagonista di alcune delle più bislacche teorie del complotto, ma anche di alcune favole costruite ad arte (passate il gioco di parole) sull’uomo dietro l’artista (da tiranno per attori e tecnici, a padre e marito affettuoso), questo volume è il primo a offrirci un ritratto sorprendente della singola verità che si cela dietro le molteplici leggende. Tra gli strumenti della detection ci sono l’archivio personale del regista e dozzine di interviste ai suoi più stretti collaboratori.

Dopo avere nell’introduzione tracciato una mappa concettuale per meglio orientarsi tra mito e realtà, il libro affronta l’elefante nella stanza in maniera sistematica e scientifica procedendo per aree tematiche, e scandagliando ciascuna delle voci risultanti dalla suddetta mappa in altrettanti capitoli, schematizzati in sei differenti Parti. Nella sezione iniziale ogni capitolo inizia con una domanda diretta, incentrata su una diversa teoria che circola sul “personaggio mitologico” Kubrick (ora genio ossessivo ora misantropo paranoico) e a ciascuna Ulivieri risponde come può, e quando può con un “sì” e con un “no” netti.
IL SOVRANO ASSOLUTO
Il manico del controllo era in realtà sempre aperto ad ascoltare i pareri dei collaboratori di cui si circondava (non a caso li sceglieva tra i migliori sulla piazza), la sua riluttanza a sostenere le interviste è contraddetta dalla fatica provata agli esordi nel farsi invece notare a tutti i costi, e che ben si sposa con il suo “cannibalismo” nei confronti dei meriti altrui (dal contributo di Jim Thompson alla sceneggiatura di Rapina a mano armata agli effetti speciali di Douglas Trumbull per 2001: Odissea nello spazio, il cui Premio Oscar andò al solo Kubrick).

Ingigantire le proprie qualità, attribuirsi meriti che non competono, negare l’evidenza: quella che ne emerge è una figura se vogliamo inconsueta, in parte inaspettata, che avvicina Kubrick al grande bugiardo per eccellenza, Federico Fellini. Come riportato nel libro, i due si conoscevano e si stimavano.
Viene evidenziato quanto sia assurda la teoria secondo cui il regista volesse distruggere ogni copia di Fear and Desire (semisconosciuto debutto registico) semplicemente perché lo detestasse. Viene ricostruito come all’inizio della sua carriera Kubrick si fosse ritagliato sempre più spazio all’interno delle major, dai primi film e fino a Lolita passando per le conflittuali esperienze con Kirk Douglas (Orizzonti di gloria prima, Spartacus poi), fino a conquistare un controllo sempre maggiore, un potere (quasi) assoluto su tutti i suoi film a venire. Perciò poté arrivare a sindacare le scelte di traduzione e doppiaggio per le versioni internazionali dei suoi film o a pretendere di sviluppare persino i giornalieri nella sua casa-studio. Un controllo totale reso possibile dalla sua attenzione ai dettagli (fanno molto ridere, con il senno di poi, i crolli psichiatrici di Ken Adams, scenografo di Barry Lyndon) e dalla sua testardaggine, l’altro lato della medaglia dell’ossessione cinematografica la quale, però, ha fatto sì che dedicasse la sua vita alla cosa che amava di più: il cinema.

IL TERRORE DEGLI ATTORI E LA MITOLOGIA DA SET
Non è vero che battesse oltre i cento ciak, ma di certo ci andava vicino. E nonostante certe dichiarazioni (o contenuti estrapolati dalle interviste) di attori sotto pressione – da Malcolm McDowell in Arancia Meccanica a (soprattutto) Shelley Duvall in Shining passando per Matthew Modine in Full Metal Jacket – abbiano consolidato l’immagine di un regista da incubo con cui lavorare, tutti in realtà convergono nell’indicare quella con Kubrick come l’esperienza migliore della loro intera carriera.
Il capitolo sulla Mitologia da set è senz’altro più succoso, proseguendo a sfatare i miti in ordine cronologico di filmografia. Leggendo, vien quasi il dubbio che non ci sia proprio nulla di mitologico intorno a Kubrick a parte il fioccare degli aneddoti (falsi). Questi ultimi iniziarono ad affiorare in maniera consistente durante la lavorazione del film che consolidò la sua posizione privilegiata interna agli studios, Il dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba, ecco alcuni esempi: che il personaggio principale fosse basato sul Consigliere alla Sicurezza Nazionale americano Henry Kissinger (in questo caso è stato, al contrario, l’arte che ha imitato la vita) o che ci volessero tre camere da presa per non perdere nulla dell’improvvisazione di Peter Sellers, che la scena finale della guerra a torte in faccia fosse stata tagliata dopo l’attentato a Kennedy (invero era già stata tagliata, semmai l’assassinio del Presidente convinse a sostituire in un dialogo la città di Dallas con quella di Las Vegas) o ancora che avesse usato una Nikon per immortalare fotogramma per fotogramma la sua copia personale del film in caso di restauro della pellicola (una bufala propugnata dallo stesso Scorsese e alla quale abboccarono pure Spielberg e Lucas).

Se è vero che Kubrick aveva provato ad assicurare 2001: Odissea nello spazio dalla vera scoperta degli alieni, è assurdo pensare che avesse utilizzato gli ibernacoli del suddetto film come freezer casalinghi. Non ci fu inoltre verso di smentire, nemmeno con il sequel letterario di Arthur C. Clarke, che la sigla di HAL “seguisse” quella di IBM. Quella in questione, del resto, è sicuramente una delle pellicole che ha alimentato più dicerie: le dimensioni esatte del monolite frutto di una coincidenza (una panzana dello scrittore), lo shock di Alex North nello scoprire solo in sala che la sua partitura non era stata utilizzata (quando era stato assunto come rimpiazzo nel caso in cui il regista non fosse riuscito a ottenere i diritti del brano che voleva), il film non fu salvato in sala dai “fricchettoni” (che comunque rappresentavano una buona fetta di pubblico) e Kubrick non elaborò il finale sotto effetto di allucinogeni.
Sempre nebulose sono le storie sulle collaborazioni con i Beatles (qualcuno ha detto Il Signore degli Anelli?), i Pink Floyd, addirittura Ennio Morricone, ma vero è che Kubrick avesse l’abitudine di far bruciare tutte le scene tagliate dai suoi film perché nessuno le riutilizzasse: l’unica director’s cut doveva rimanere quella effettivamente uscita in sala! Alcune risposte sono più difficili da dare (le minacce dell’IRA mentre girava Barry Lyndon) e spesso le bugie nascono da estremizzazioni tutto/niente (si veda l’illuminazione con le sole candele sempre per Barry Lyndon).

Molte sono le leggende nate intorno al super-segreto set di Eyes Wide Shut (le più note: i coniugi Cruise hanno vissuto nell’appartamento dei coniugi Harford ricostruito alla perfezione, e il divorzio tra i due è imputabile al clima sviluppatesi durante le riprese) e ancor meno si sa su A.I. – Intelligenza Artificiale, infine diretto dall’amico Steven Spielberg: ed è ormai cosa nota che il “finale strappalacrime” non fu opera dell'”emotivo” Spielberg (come è scontato pensare) ma del “razionale” Kubrick (ispirato però proprio dalla visione di E.T. l’extra-terrestre).
IL CULTO DI KUBRICK
St. Albans è il paese a nord di Londra più vicino alla tenuta di Childwickbury dove Kubrick si era trasferito con tutta la famiglia. Che secondo alcuni era stata trasformata nella casa-bunker di un misantropo, con tanto di latrina al posto del gabinetto e zoo domestico annesso. Tra le stranezze ascritte a un livello meramente personale: la paura di volare (in seguito a un incidente scampato) o di guidare l’auto ad alta velocità (ma comunque entro i limiti!), la meticolosità di archiviazione (nonostante fosse disordinato e forse proprio per questo) e la sua maestria negli scacchi (che tornava utile per ampliare il suo potere di regista nei confronti degli attori), il ritmo lavorativo secondo il fuso orario americano (per tenersi in contatto con la Warner in California) e anche quel briciolo di superstizione che aveva creato un varco nella mente razionale (indossare braccialetti di rame per scacciare i reumatismi). Non aiuta il fatto che si pensava fosse un fanatico della crittografia, quando in realtà la applicava “con moderazione”. Da matto (in vita) a santino (dopo morto) il passo è stato davvero breve.

La poetica che attraversa la filmografia di Kubrick è stata di certo un buon volano per le teorie dei complotti. La più famosa delle quali rimane il falso allunaggio girato in studio da Kubrick in cambio della tecnologia della NASA per realizzare Barry Lyndon. Senza tralasciare le tantissime (sovra)interpretazioni di Shining, persino dei suoi errori di continuità, tanto da far pensare che spesso il merito (o la colpa) sia dei Kubrickiani più che di Kubrick stesso; e, chiaramente, il film che più si presta alle derive più inquietanti è “l’incompiuto” Eyes Wide Shut.
Il volume, prima dei ringraziamenti e della bibliografia, si conclude con una Lettera ai Kubrickisti. E se fosse stato proprio Kubrick il principale artefice della mitologia sul proprio conto, salvo di tanto in tanto fingere all’occorrenza di volerla smentire? Prove alla mano, Filippo Ulivieri pone le domande e cerca le risposte. Siamo pronti a scommettere che una nuova teoria sta per nascere, e forse questa volta è autentica.

CONCLUSIONI
Nonostante le 400 pagine – attraversate grazie a quei capitoli molto brevi che ti accompagnano per mano dall’uno all’altro – alla fine ti dispiace che Sulla luna con Stanley Kubrick a un certo punto finisca. Alla penna non manca una bella dose di ironia, che potrebbe forse far storcere il naso agli esegeti, e del resto gli “indottrinati” potrebbero addirittura tacciare di “eresia” quanto riportato.
Anni di ricerche e lavoro meticoloso (come merita il perfezionista Kubrick!) riescono a sfatare tutti i luoghi comuni e portare alla luce un risultato titanico (del resto, come l’argomento che tratta). Quella dell’autore è una devozione rara, però mai tralascia la neutralità dello studioso: le giuste armi contro le leggende sensazionalistiche da una parte e l’ammirazione critica dall’altra. Consigliamo di adottare il libro nei corsi di studi universitari, e questo nonostante non sembri avere nulla di accademico (che in questo caso è un complimento): infatti il modo di comunicare dell’autore rende semplici pure le matasse più ingarbugliate.

Ulivieri lo anticipa diverse volte: il motivo per cui ci piace credere molto di più alle leggende, è che più spesso queste sono meno banali della semplice verità. Ma, al contrario dell’ambiguità perseguita artisticamente da Kubrick, il saggio ci fornisce veramente tutte le risposte! Una sorta di opera-mondo, inedita e accurata la quale, però, non potrà mai chiudere un discorso che (almeno) abbiamo ora scoperto quando è cominciato.
Finito di leggere: domenica 8 giugno 2025.
Nel salutarvi vi invito a leggere Sulla luna con Stanley Kubrick: miti, leggende e verità sul mostro sacro del cinema di Filippo Ulivieri, ultimo appuntamento della nostra rassegna, e a tornare su questa pagina per dirmi cosa ne pensate.